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Letizia,
in piedi accanto al letto, osservava il volto del ferito, pallido e madido di
sudore: Harith aveva chiuso gli occhi e lei fece l’atto di allontanarsi.
La voce
sofferente di lui, però, la trattenne.
“Resta…
Non andare, Titty…” e con una mano la trattenne per il polso.
La
ragazza si fermò; sentiva su di sé lo sguardo ostile di Jazina.
“Sì,
resta!” anche la voce di Alina, la madre di Ibrahim la trattenne – Detergigli
il sudore con questo panno.” aggiunse porgendole una pezza di lino.
Letizia
prese il panno e con un lembo cominciò a detergere la fronte del ferito. Gli
occhi di Jazina la seguivano con ostinazione, mentre Alina accostava alle
labbra del giovane una tazza dal liquido incolore, ma dal gusto amaro a
giudicare dalla sua smorfia.
“Ti farà
sentire meno il dolore, figlio mio.”
Era
mandragora e Harith fece un cenno di assenso.
“Bisogna
procedere con cautela. – sorrise la donna, in tono rassicurante - Finora è
stato proprio il prioiettile a fermare l’emorragia e … Chi ha arrestato
l’emorragia?” domandò.
“E’ stato
sir Richard.” rispose Letizia.
“L’amico
inglese è stato avveduto e accorto. -
disse Alina – Ha praticato davvero un ottimo bendaggio… – si compiacque
-… senza troppa pressione, e è riuscito
ad arrestare la perdita di sangue… Adesso bisogna estrarre il proiettile e fare
molta attenzione, perché il sangue potrebbe riprendere a fuoriuscire… Dammi una
garza, Jazina… una garza… Che cosa fai lì, impalata, ragazza… Dammi una garza.”
Jazina
era pallida come un cencio. Immobile al suo fianco, aveva lo sguardo fisso
sulla ferita.
“Allah
misericordioso! – proruppe la donna – Ti fa impressione il sangue, ragazza?”
chiese allungando una mano per prendere da sé una garza dalla cassetta che le
conteneva; Jazina tese tutta la cassetta, si voltò e si allontanò di corsa
verso l’interno della tenda.
Pulita e
disinfettata la ferita, partendo dal margine ed andando verso l’esterno, Alina
rimosse delicatamente i lembi di pelle e i tessuti in via di disfacimento, poi
indicò il proiettile.
“Il
proiettile si è capovolto ed ha lacerato la pelle e il muscolo, – spegò – ma
non è andato in profondità… Rimuoverlo sarà un po’ doloroso, ma non difficile.”
disse, afferrandolo con la pinzetta che stringeva tra l’indice e il pollice
della mano destra ed asportandolo con
un colpo ben deciso.
Occhi
chiusi, pallido in volto, la fronte sempre imperlata, il ferito si lasciò pian
piano scivolare in un sonno ristoratore; Letizia continuava a detergergli il
sudore e con l’altra mano ad accarezzargli con gesto tenero i capelli, anche
quelli inzuppati.
Non era
più furiosa, ma profondamente triste. Ogni tanto si tormentava il bracciale che
lui le aveva regalato e si guardava intorno e guardava il letto su cui egli era
disteso... largo, basso e cercava l’impronta di un altro corpo… di un corpo
femminile e tornava negli splendidi occhi azzurri quell’ombra di inconsolabile
pena.
“Lasciamolo
riposare.” disse Alina, che aveva
appena terminato di bendare la ferita; la vecchia Fatma stava
raccogliendo garze e bende sporche e portava via il catino d’acqua arrossata.
Alina sedette su uno scanno con un gesto di stanchezza e si deterse la fronte
con un fazzoletto, Letizia e Zaira raggiunsero l’uscita e si fermarono di
fuori.
“Fai del
the per Zaira e Letizia.” ordinò la
nutrice di Harith a Jazina.
La
ragazza si affrettò ad ubbidire; quando uscì fuori con il vassoio e le tazze da
the e la teiera, trovò Letizia da sola.
“Gradisci
del the?” chiese.
Un po’
stupita, ma allertata dal tono troppo gentile, Letizia, seduta su una stuoia,
sollevò su di lei lo sguardo con un cenno affermativo del capo.
Jazina si
chinò, tese in avanti le braccia insolitamente scoperte, se non da una larga
fascia d’oro rilucente di piccole pietre preziose, su cui lo sguardo di Letizia
andò immediatamente a posarsi.
“Chi ti
ha dato quel bracciale?” domandò e l’altra, con finta noncuranza:
“E’ un
regalo di mio marito. – recitò – Lo sceicco Harith.”
“Posso
vederlo?”
“E’ molto
bello, vero?… Bello e prezioso.”
“Posso
vederlo?” ripeté Letizia.
“Certo!”
Il
magnifico gioiello passò dal polso dell’una alla mano dell’altra.
“C’è
un’incisione, qui.” disse con voce incolore.
“C’è
scritto: a Jazina con amore, da Harith.” recitò con sussiego la ragazza –
Harith è molto affettuoso e romantico. Lui ti fa sentire… Oh, ma tu lo sai
bene, Letizia… Non ha fatto una richiesta di matrimonio anche a te?”
Un senso
di profonda amarezza, di incontenibile pena afferrò Letizia a quelle parole;
fece seguire un attimo di sbalordito silenzio: l’emozione era così forte che
per un attimo, ogni cosa intorno andò come sfocando. Harith le aveva mentito.
Il cuore
in petto le dolse come una ferita.
“Harith
non ti ha già proposto di sposarlo? – la voce di Jazina, fredda e acuta come lo
sguardo, dalle pupille incupite da un non più dissimulato astio, la scaraventò
fuori di quel turbinio di emozioni -A quanto dicono, però, tu lo tieni ancora
sulle spine… Ti fai ancor rincorrere… - sempre più dura, sempre più ostile la voce
di Jazina - Sai, Letizia… in fondo fai
bene a rifletterci sopra… Tu sei El Khatun… E’ così che ti ha chiamata quel beduino che avete
raccolto con la famiglia nel deserto… El Khatun… Tu non
sei come noi… No! E bevi… bevi il tuo the, Letizia… - la voce di Jazina,
adesso, era astiosa, il sembiante, visibilmente perfido - Tu sei diversa da noi… a cominciare da questi capelli…
e tutto il resto. Non vedi come ti guardano tutti appena ti lasci scivolare un
lembo del velo…Sei una tentazione per tutti e… prima o poi potrebbe succedere
qualcosa e… Sì! Hai fatto bene a startene lontana da Harith e … ancora meglio
faresti, mia cara, ad andartene lontano da qui. – Letizia ascoltava - Aspetti qualcuno che ti porti via, vero?…
Ho sentito di una sorella… Sarebbe una buona cosa per tutti…”
“Hai
detto bene, Jazina. – l’interruppe infine Letizia, alzandosi e lasciando la
stuoia; qualcosa più forte dell’amore, forse l’amore ferito, le dilatò e le
incupì le pupille azzurre - Io non sono come voi. Soprattutto non sono come te,
Jazina. Tieniti pure una promessa d’amore a scadenza se questo ti basta… Una Muta’a… Il
contratto di un anno che ti lega ad Harith… E’ questa la promessa d’amore che
ti lega a lui?”
“Ah.ah.ah…
- rise l’altra, sarcastica e provocatoria, poi aggiunse, sibillina - Non
immagini, Letizia, quante cose possono accadere in un anno.”
“Farlo
innamorare di te? E’ in questo che
speri?”
“Un
figlio, Letizia. Nessun uomo al mondo manda via la madre di suo figlio.”
“Suo
figlio?” illividì Letizia.
Le parole
le rimbombarono nel cervello. Un figlio! Un figlio di Harith e Jazina! E le
apparve, nella luce opaca del pomeriggio inoltrato, la visione insultante dei
loro corpi nudi, affondati nel letto ampio, grande in cui adesso Harith
riposava tranquillo… la visione amara e mortificante del loro possesso. Si
sentì gelare il sangue nelle vene e arrestare il battito del cuore, come se
stesse agonizzando.
Si
scosse. Non era da lei. Gelosa?.. La stolta gelosia della donna che spasima e
si dispera. No! Non era da lei. Senza una parola volse le spalle alla ragazza e
rientrò nella tenda.
“Alina è
tornata a casa sua. – la vecchia Fatma s’affacciò sull’uscio e si scostò per
lasciarla entrare – Ripasserà più tardi per vedere come sta Harith.” disse.
Letizia non rispose; si
accostò al grande letto in cui Harith riposava tranquillo, si sfilò dal polso
il prezioso bracciale e lo posò sul cuscino, poi lasciò la tenda.(continua)
brano tratto da "DUNE ROSSE - Nella tana del cobra"
di Maria PACE
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