DUNE ROSSE

DUNE  ROSSE

DUNE ROSSE


Saga appassionante e coinvolgente composta da quattro volumi

DUNE ROSSE - Il Rais dei Kinda
DUNE ROSSE - Fiamme sul Deserto
DUNE ROSSE - Nella tana del cobra
DUNE ROSSE - L'Avvoltoio lasciò il nido (prossimamente)

domenica 31 maggio 2015

NELLE SPIRE della GELOSIA



..............
Letizia, in piedi accanto al letto, osservava il volto del ferito, pallido e madido di sudore: Harith aveva chiuso gli occhi e lei fece l’atto di allontanarsi.
La voce sofferente di lui, però, la trattenne.
“Resta… Non andare, Titty…” e con una mano la trattenne per il polso.
La ragazza si fermò; sentiva su di sé lo sguardo ostile di Jazina.
“Sì, resta!” anche la voce di Alina, la madre di Ibrahim la trattenne – Detergigli il sudore con questo panno.” aggiunse porgendole una pezza di lino.
Letizia prese il panno e con un lembo cominciò a detergere la fronte del ferito. Gli occhi di Jazina la seguivano con ostinazione, mentre Alina accostava alle labbra del giovane una tazza dal liquido incolore, ma dal gusto amaro a giudicare dalla sua smorfia.
“Ti farà sentire meno il dolore, figlio mio.”
Era mandragora e Harith fece un cenno di assenso.
“Bisogna procedere con cautela. – sorrise la donna, in tono rassicurante - Finora è stato proprio il prioiettile a fermare l’emorragia e … Chi ha arrestato l’emorragia?” domandò.
“E’ stato sir Richard.” rispose Letizia.
“L’amico inglese è stato avveduto e accorto. -  disse Alina – Ha praticato davvero un ottimo bendaggio… – si compiacque -… senza troppa pressione,  e è riuscito ad arrestare la perdita di sangue… Adesso bisogna estrarre il proiettile e fare molta attenzione, perché il sangue potrebbe riprendere a fuoriuscire… Dammi una garza, Jazina… una garza… Che cosa fai lì, impalata, ragazza… Dammi una garza.”
Jazina era pallida come un cencio. Immobile al suo fianco, aveva lo sguardo fisso sulla ferita.
“Allah misericordioso! – proruppe la donna – Ti fa impressione il sangue, ragazza?” chiese allungando una mano per prendere da sé una garza dalla cassetta che le conteneva; Jazina tese tutta la cassetta, si voltò e si allontanò di corsa verso l’interno della tenda.
Pulita e disinfettata la ferita, partendo dal margine ed andando verso l’esterno, Alina rimosse delicatamente i lembi di pelle e i tessuti in via di disfacimento, poi indicò il proiettile.
“Il proiettile si è capovolto ed ha lacerato la pelle e il muscolo, – spegò – ma non è andato in profondità… Rimuoverlo sarà un po’ doloroso, ma non difficile.” disse, afferrandolo con la pinzetta che stringeva tra l’indice e il pollice della  mano destra ed asportandolo con un colpo ben deciso.

Occhi chiusi, pallido in volto, la fronte sempre imperlata, il ferito si lasciò pian piano scivolare in un sonno ristoratore; Letizia continuava a detergergli il sudore e con l’altra mano ad accarezzargli con gesto tenero i capelli, anche quelli inzuppati.
Non era più furiosa, ma profondamente triste. Ogni tanto si tormentava il bracciale che lui le aveva regalato e si guardava intorno e guardava il letto su cui egli era disteso... largo, basso e cercava l’impronta di un altro corpo… di un corpo femminile e tornava negli splendidi occhi azzurri quell’ombra di inconsolabile pena.
“Lasciamolo riposare.” disse Alina, che aveva  appena terminato di bendare la ferita; la vecchia Fatma stava raccogliendo garze e bende sporche e portava via il catino d’acqua arrossata. Alina sedette su uno scanno con un gesto di stanchezza e si deterse la fronte con un fazzoletto, Letizia e Zaira raggiunsero l’uscita e si fermarono di fuori.
“Fai del the per Zaira e  Letizia.” ordinò la nutrice di Harith a Jazina.
La ragazza si affrettò ad ubbidire; quando uscì fuori con il vassoio e le tazze da the e la teiera, trovò Letizia da sola.
“Gradisci del the?” chiese.
Un po’ stupita, ma allertata dal tono troppo gentile, Letizia, seduta su una stuoia, sollevò su di lei lo sguardo con un cenno affermativo del capo.
Jazina si chinò, tese in avanti le braccia insolitamente scoperte, se non da una larga fascia d’oro rilucente di piccole pietre preziose, su cui lo sguardo di Letizia andò immediatamente a posarsi.  
“Chi ti ha dato quel bracciale?” domandò e l’altra, con finta noncuranza:
“E’ un regalo di mio marito. – recitò – Lo sceicco Harith.”
“Posso vederlo?”
“E’ molto bello, vero?… Bello e prezioso.”
“Posso vederlo?” ripeté Letizia.
“Certo!”
Il magnifico gioiello passò dal polso dell’una alla mano dell’altra.
“C’è un’incisione, qui.” disse con voce incolore.
“C’è scritto: a Jazina con amore, da Harith.” recitò con sussiego la ragazza – Harith è molto affettuoso e romantico. Lui ti fa sentire… Oh, ma tu lo sai bene, Letizia… Non ha fatto una richiesta di matrimonio anche a te?”
Un senso di profonda amarezza, di incontenibile pena afferrò Letizia a quelle parole; fece seguire un attimo di sbalordito silenzio: l’emozione era così forte che per un attimo, ogni cosa intorno andò come sfocando. Harith le aveva mentito.
Il cuore in petto le dolse come una ferita.
“Harith non ti ha già proposto di sposarlo? – la voce di Jazina, fredda e acuta come lo sguardo, dalle pupille incupite da un non più dissimulato astio, la scaraventò fuori di quel turbinio di emozioni -A quanto dicono, però, tu lo tieni ancora sulle spine… Ti fai ancor rincorrere… - sempre più dura, sempre più ostile la voce di Jazina -  Sai, Letizia… in fondo fai bene a rifletterci sopra… Tu sei El KhatunE’ così che ti ha chiamata quel beduino che avete raccolto con la famiglia nel deserto… El Khatun… Tu non sei come noi… No! E bevi… bevi il tuo the, Letizia… - la voce di Jazina, adesso, era astiosa, il sembiante, visibilmente  perfido - Tu sei diversa da noi… a cominciare da questi capelli… e tutto il resto. Non vedi come ti guardano tutti appena ti lasci scivolare un lembo del velo…Sei una tentazione per tutti e… prima o poi potrebbe succedere qualcosa e… Sì! Hai fatto bene a startene lontana da Harith e … ancora meglio faresti, mia cara, ad andartene lontano da qui. – Letizia ascoltava  - Aspetti qualcuno che ti porti via, vero?… Ho sentito di una sorella… Sarebbe una buona cosa per tutti…”
“Hai detto bene, Jazina. – l’interruppe infine Letizia, alzandosi e lasciando la stuoia; qualcosa più forte dell’amore, forse l’amore ferito, le dilatò e le incupì le pupille azzurre - Io non sono come voi. Soprattutto non sono come te, Jazina. Tieniti pure una promessa d’amore a scadenza se questo ti basta… Una Muta’a… Il contratto di un anno che ti lega ad Harith… E’ questa la promessa d’amore che ti lega a lui?”
“Ah.ah.ah… - rise l’altra, sarcastica e provocatoria, poi aggiunse, sibillina - Non immagini, Letizia, quante cose possono accadere in un anno.”
“Farlo innamorare di te?  E’ in questo che speri?”
“Un figlio, Letizia. Nessun uomo al mondo manda via la madre di suo figlio.”
“Suo figlio?” illividì Letizia.
Le parole le rimbombarono nel cervello. Un figlio! Un figlio di Harith e Jazina! E le apparve, nella luce opaca del pomeriggio inoltrato, la visione insultante dei loro corpi nudi, affondati nel letto ampio, grande in cui adesso Harith riposava tranquillo… la visione amara e mortificante del loro possesso. Si sentì gelare il sangue nelle vene e arrestare il battito del cuore, come se stesse agonizzando.
Si scosse. Non era da lei. Gelosa?.. La stolta gelosia della donna che spasima e si dispera. No! Non era da lei. Senza una parola volse le spalle alla ragazza e rientrò nella tenda.
“Alina è tornata a casa sua. – la vecchia Fatma s’affacciò sull’uscio e si scostò per lasciarla entrare – Ripasserà più tardi per vedere come sta Harith.” disse.
Letizia non rispose; si accostò al grande letto in cui Harith riposava tranquillo, si sfilò dal polso il prezioso bracciale e lo posò sul cuscino, poi lasciò la tenda.

(continua)
brano tratto da "DUNE ROSSE - Nella tana del cobra"
di Maria  PACE

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