................
Il sole
si mostrò ben presto non più alleato degli uomini. Il gruppetto avanzava in uno
scenario arso dalla siccità, chiuso in un orizzonte monotono, simile
all’ondeggiare di un oceano rosso.
Harith cavalcava al fianco di
Letizia. Nessuno dei due parlava, ma la ragazza sentiva su di sé lo sguardo di
lui, carezzevole e tenero. Come
erano sempre i suoi sguardi. Uno sguardo,
però, che la irritò.
Ma non era irritata con lui,
bensì con se stessa. Distolse lo
sguardo da lui, facendolo convergere sulla donna del beduino che avevano soccorso:
anche lei la stava guardando.
Sì, era proprio irritata. Debole e vulnerabile. Ecco com’era, si diceva.
Eppure aveva giurato a se stessa che non avrebbe mai permesso a qualcuno di
farle ancora del male e invece, eccola in balia di un sentimento onnipotente ed
indomabile.
Sciocca, illusa ragazza che aveva creduto di avvincere alla propria
vita, impadronirsi, trattenere con la
sua inesperta passionalità un uomo come lo sceicco di Sahab… Sciocca, illusa
ragazza arrivata da lontano, incapace di contrastare le segrete,
sapienti insidie amorose di donne come Jazina, che nascondevano fascini
segreti e pratiche amorose capaci di conquistare un uomo. Fascini e pratiche che lei non conosceva, al
contrario delle donne di quelle terre, il cui scopo di vita era soltanto quello
di soddisfare il piacere di un uomo. Fascini e pratiche
che Jazina doveva aver esercitato, se era riuscita ad allontanarlo da lei e
farsi sposare.
“Guarda
laggiù, Letizia. - Harith ruppe il silenzio – Guarda. “ disse, sollevando un
braccio ed indicando due splendidi esemplari di aquile comparse d’improssivo
nel cielo sopra le loro teste.
Letizia
si girò verso di lui e fu allora che vide la macchia rossa sulla sua spalla
sinistra.
“Ma tu…
tu sei ferito, Harith?” proruppe tendendo la mano verso di lui.
Si
girarono tutti e tutti videro la macchia di sangue che s’andava allargando
all’altezza della spalla e solo allora parvero far caso al pallore che
ricopriva il volto del giovane.
“Una di
quella pllottole ha trovato il suo bersaglio… ah.ah.ah…” fece egli con un
sorriso forzato.
L’espressione
sofferente e il pallore comparso sul bel volto, Harith si lasciò andare in
avanti fin quasi a sfiorare il collo dell’animale. Ma si rialzò. Ancora col
sorriso.
Sir
Richard per primo gli si accostò, per prendere le redini che gli erano sfuggite
di mano. Osservò da vicino la spalla sanguinante dell’amico, poi si tolse il
fazzolettone color tabacco che sempre portava al collo e con quello tamponò la
ferita, non prima di aver fatto
pressione tra ascella e collo per controllare il sanguinamento.
“Bisogna
tornare mmediatamente a Sahab – disse –
Il tempo non è amico in questi
frangenti… La ferita non sembra profonda, ma il proiettile deve essere ancora
dentro.“ si schiarì la voce e premette con le mani sul tampone fino a che non
vide il sangue arrestarsi; gli altri lo guardavano in silenzio. Quando fu certo
che non sanguinasse più, sir Richard si tolse il cordone che gli tratteneva il mindil sul capo
e con quello tenne stretto il tampone sulla ferita, senza però, premere troppo,
per evitare che la pallottola penetrasse ancor più all’interno. Quand’ebbe
finito,
“Oh. Oh!”
incitò il cavallo e lo lanciò al galoppo, sempre reggendo le briglie del
cavallo dell’amico e sempre seguito dagli altri.
Furono in
vista di Sahab pochi minuti più tardi.
Nessun commento:
Posta un commento