DUNE ROSSE

DUNE  ROSSE

DUNE ROSSE


Saga appassionante e coinvolgente composta da quattro volumi

DUNE ROSSE - Il Rais dei Kinda
DUNE ROSSE - Fiamme sul Deserto
DUNE ROSSE - Nella tana del cobra
DUNE ROSSE - L'Avvoltoio lasciò il nido (prossimamente)

mercoledì 24 dicembre 2014

DUNE ROSSE - Fiamme sul deserto



E' arrivato il secondo volume della saga  DUNE  ROSSE

 titolo:

DUNE ROSSE - Fiamme sul deserto

continuano le straordinarie, appassionanti storie d'amore di
- RASHID e  JASMINE
- HARITH e LETIZIA
- SIR RICHARD e  ZAIRA
- MARCO e ATENA

continuano le sorprendenti vicende di personaggi che per cornice dei loro sentimenti hanno scelto il posto più straordinario, inospitale ed affascinante del nostro pianeta.

mercoledì 17 dicembre 2014

FUOCHI nella NOTTE


....
Seduti in circolo nel grande piazzale davanti alla tenda di Rashid,  tutta la tribù era presente per festeggiare il suo ritorno e quello di Jasmine: bianchi mantelli, abiti sgargianti, pugnali, fucili e strumenti musicali; alle loro spalle la luna illuminava la sabbia.
Sir Richard, gambe incrociate, pugnale infilato alla cintola, parlava con lo sceicco Harith, seduto alla sua destra. Parlavano dell'ultimo acquisto di armi, una mezza dozzina di fucili provenienti dall'Italia,  che solo da pochi decenni si era riunita. Armi giunte precisamente da quello che il professor Marco Starti, l’amico archeologo italiano partito per una spedizione in Egitto, chiamava Stato Pontificio, cui qualche trafficante era riuscito a portar via.
A Sahab arrivavano armi da ogni parte d'Europa, come ad ogni altra tribù del deserto, le quali  facevano affari con italiani, francesi, tedeschi e inglesi, naturalmente.
Di fucili non ve n’erano mai abbastanza, pensava il lord ed era vitale averne: era una forma di discussione, di far valere le proprie ragioni.
“Il fucile è la mia forza e la mia giustizia.” soleva ripetere Ibrahim, il vice del rais.

       


E non aveva torto, pensava il lord: le vessazioni e la corruzione del governo centrale, a Doha, avevano cancellato ogni fiducia nell’autorità e tutti si facevano ragione e giustizia da sé, facendo del fucile una necessità. Tale che averlo era più necessario che usarlo.
Harith mostrò il fucile che teneva in mano e il lord non riuscì a trattenere la mordace e pacata ironia di cui era dotato:
"Ecco una canna che è passata dal servizio di Cristo a quello di Allah!" disse, da buon miscredente qual era.
“Lo proveremo sulla scorta dei deportati di Salwah.” disse lo sceicco, mentre osservava attentamente lo stemma pontificio impresso sul calcio del fucile.
“Di che cosa parlate, sceicco?” domandò l’inglese.
“Di assaltare la scorta e liberare i prigionieri del Sultano, a Salwah. – all’espressione  dubbiosa del suo ospite, Harith spiegò – Ogni giorno vengono condotti fuori della prigione per soddisfare i propri bisogni e noi assalteremo la scorta e libereremo i prigionieri. – e prima che il lord replicasse, continuò – Tra i condannati della prigione di Salwah c’è Hamed, cugino di Ibrahim, della tribù dei Kaza. – lo informò – Con lui ci sono altri uomini di quella tribù, sorpresi durante una razzia.”
“Corrono pericolo di vita?’” domandò il lord.
“Oh, no! – Rashid, seduto alla sinistra del suo sceicco, intervenne nella conversazione; anch’egli maneggiava la sua nuova carabina a ripetizione come fosse una bella donna – No! Il sultano di Doha ha creato con la prigionia dei suoi sudditi una fonte di guadagno assai lucrosa. La condanna a morte, invece, anche per i delitti più gravi, sarebbe pur sempre una pratica onerosa e i Governatori delle province lo appoggiano, perché si ingrassano con lui.”
“Mantenere e nutrire tanta gente – osservò l’inglese . deve essere ugualmente oneroso.”
“Solo per la famiglia o per la tribù del condannato. – precisò Ibrahim, appoggiando sul tappeto davanti a sé la tazza di the con cui aveva accompagnato il cosciotto di agnello e pulendosi la bocca sul bordo della manica della casacca color fieno bruciato – Quell’insaziabile avvoltoio tiene in vita i prigionieri di tutto il Paese fino a quando la famiglia non paga la somma imposta.”
“Così può accadere che un ricco briccone torni subito in libertà, mentre un povero disgraziato, colpevole di mancanza lieve,  rischi di restare per sempre in prigione.” gli fece eco il suo sceicco.
“Sono tanti i condannati di queste prigioni?” domandò il lord.
“Capi ribelli… contadini…”
“Capi ribelli?” domandò sorpreso l’inglese; sapeva perfettamente che per quelle popolazioni l’idea di “governo” era qualcosa di indefinibile e una ribellione all’indefinibile era faccenda impossibile.
“Abd Errahm El.Heulj, governatore di Salwah – spiegò Ibrahim – è appena stato deposto per inadempienza all’ordine di riscossione di imposte religiose da versare al Sultano.”
“Capisco!” si limitò a rispondere il lord.
Sapeva bene, l’inglese, che se un superiore cadeva in disgrazia, e il governatore di Salwah era caduto in disgrazia presso il sultano di Doha, agli occhi della popolazione diventava un uomo completamente abbattuto. Il concetto di fede, per quella gente, pensava,  era che tutto stava nelle mani di Allah: il potente  era potente per volontà di Allah e per questo andava rispettato e ubbidito, ma se Allah non lo riteneva più degno della sua divina protezione, non aveva più senso ubbidirgli. E con questa logica, il lord sapeva bene anche questo, poteva accadere che  il più forte si rifacesse sul debole, ma anche che il debole  si unisse ad altri deboli e ne nascessero capi a condurre ribellioni. Egli era certo che fra quei prigionieri vi fossero ribelli e capi ribelli.
Fece l’atto di replicare, ma le note del tandir di Selima, la Favorita di Rashid, lo fermarono.

(continua)



brano tratto da   "DUNE ROSSE - Fiamme sul deserto"
di  MARIA   PACE

su  AMAZON    o direttamente presso l'autrice  SCONTATO  ED  AUTOGRAFATO
mariapace2010@gmail.com

martedì 9 dicembre 2014

SOGNO...






Letizia era una sognatrice. Sempre persa, diceva con indulgenza sua sorella Atena, dietro sogni e fantasticherie; sempre attratta da mondi sconosciuti e lontani e da persone cariche di fascino e mistero, lontane dal suo ambiente:  il principe Harith, bello e irraggiungibile, era proprio la figura giusta per alimentare i suoi sogni e le sue fantasie.
Protetta dalla penombra, seguiva affascinata ogni suo gesto mentre Fatima, la nutrice, gli posava sulle spalle la Ksa, il bianco mantello svolazzante, che tanto faceva sognare le donne europee... e non solo quelle.
Fatima rientrò sotto la tenda e Harith fece qualche passo in avanti, ma si fermò subito e si girò, quasi  avesse sentito il richiamo di quello sguardo balenante.
"Letizia! - esclamò andandole incontro a lunghi passi e fermandosi davanti alla ragazza; sopra le cime piumate delle palme, la luna brillava ancora, ma le stelle andavano velocemente impallidendo e il fuoco più vicino ardeva basso – Ti chiami Letizia?… Letizia e gioia per lo sguardo... - sorrise, poi aggiunse, dopo breve pausa - Sei mattiniera, bella Letizia e l'Aurora ha le tue sembianze ."
Lei abbassò gli occhi e per coprire il rossore di cui s'era cosparso il bellissimo volto, si calò il velo. 
Lo ripeteva sempre ad entrambe, a lei e ad Atena, il caro padre compianto, da quando erano  scesi dalla nave che li aveva portati da Atene, lo ripeteva sempre di coprirsi  il volto in presenza di un estraneo, se di fede islamica, perché, diceva, "qui è considerato indecente l’usanza dei cristiani di permettere alle donne di mostrare il volto."
Harith sorrise al gesto: le donne beduine non usavano coprire e nascondere i loro bellissimi volti, così come era imposto alle donne di città e della costa. Però non disse nulla: gli occhi di quella creatura, pensava, di quell'azzurro intenso rubato al cielo, erano sufficienti a sconvolgere i suoi sensi.
"Amo questo momento del giorno. - la sentì dire - Mi permette di  scrutare nel mio intimo e di dare spazio ai miei sogni e ai miei desideri."
"Sogni e desideri? - sorrise ancora lui - Se Letizia mi confida i suoi sogni e i suoi desideri, io le confiderò i miei." aggiunse posandole  una mano sulla spalla e sospingendola delicatamente in avanti. Proseguirono per breve tratto, poi lei si fermò e sollevò su di lui gli straordinari occhi azzurri.
"Oh! Io ho pochi desideri e molti sogni." disse.
"Ma... - replicò Harith, completamente ammaliato dal balenio azzurro di quegli occhi - Io desidero tutto quello che sogno."
"Oh, no! - soggiunse lei - I desideri sono realizzabili, ma i sogni sono irraggiungibili. Ecco perché i miei desideri sono modesti e i sogni, invece, assai grandiosi... I miei sogni - sorrise - non hanno limiti né orizzonti... Non hanno tempo... Sono sogni!"
"Ma i sogni possono diventare realtà, piccola Letizia. Esprimi i tuoi sogni e i tuoi desideri e forse..."
"I miei desideri? Oh, io desidero incontrare Alma, la nipotina che ancora non conosco."
"Sono certo che la incontrerai un giorno."
Harith le sfiorò con la punta delle dita il volto proteso e nascosto dal velo; Letizia fremette e riprese:
"E vorrei tornare in Italia, un giorno. - una lieve incrinazione nella voce - Vorrei tornare a Torino, la città dove sono nata."
"Ma... - trasecolò il giovane - Non sei nata ad Atene? Credevo che il mercante Aristo Gallas fosse arrivato a Doha assieme alle sue due figlie da Atene."
Lei scosse il capo.
"Io sono figlia di Vittorio Bosio, archeologo e collega del professor Starti, amico di Aristeo Gallas. Avevo dodici anni quando mio padre morì...  Aristeo si prese cura di me e mi adottò... Atena non è mia sorella di sangue, ma è molto più che lo fosse.”  sorrise e si calò giù il velo. Quasi con civetteria. Ma lo tenne sulle labbra.
“Tu, dunque, piccola Letizia, vieni dall’Italia? Oh!… - esclamò lui – Tu credi al destino?”
Letizia non rispose subito; sentiva, nell’aria fresca del mattino che andava formandosi, qualcosa di nuovo, di avventurato, quasi di imminente sorpresa.
“Non so.” rispose scuotendo il capo.
“Io  ho  vissuto per quasi quattro anni in Italia… proprio  a Torino  dove …”
“Davvero?” l’interruppe lei quasi in uno slancio di gioia; egli assentì col  capo e proseguì:
“Ero studente alla Regia Scuola di Applicazione per Ingegneri. – spiegò -  Per perfezionare i miei studi di Idraulica e…”
“Quella Scuola con sede al Castello del Valentino? - lo interruppe per la seconda volta la ragazza sgranando gli occhi dalla sorpresa – Da bambina andavo tutti i pomeriggi con la mia mamma a spingere il cerchio proprio nella strada davanti al Castello del Valentino o a leggere fiabe, seduta su una delle panchine del Viale.”
“Ma allora, piccola Letizia… non può essere che noi due ci siamo già incontrati e che per questo a me pare di conoscerti da sempre? – mormorò lui sfiorandole teneramente la tempia - Io ho già visto lo splendore di questi due occhi azzurri e adesso capisco dove… E tu… tu, piccola Letizia, sogni ancora?”
“Io non ho mai smesso di sognare. – gli occhi di Letizia sfavillarono - Quando ero bambina e leggevo i libri di favole, sognavo giungle e Templi  misteriosi... deserti ed isole sperdute. Io… io sogno ancora... - s'interruppe; quel pizzico di splendida malizia che le attraversò lo sguardo conquistò definitivamente il cuore del bel predone - Non... non sorriderai del mio sogno se te lo confido?"
"Non sorriderò. - lui la guardava incantato, come si guarda un prodigio – Dimmelo e anche io ti confiderò il mio sogno."
"Io sogno ancora il principe delle favole... - sorrise -  senza macchia né paura, che mi rapisce sul suo cavallo bianco e mi porta lontano, in un luogo incantato."
"Splendido sogno, dolce Letizia. – anche Harith tornò a sorridere poi aggiunse - Io non ti dirò qual è il mio sogno, ma te lo mostrerò... dopo che avremo fatto onore al caffè ed alle ciambelle al miele della cara Fatima."
Il sole, intanto, comparso all'orizzonte, stava lacerando l'ultima foschia  del crepuscolo del mattino, permettendo al giorno di avanzare veloce. Harith fece un cenno e un giovane si avvicinò; lo sceicco gli bisbigliò qualcosa all'orecchio e quello si allontanò veloce.
Un profumo di caffè e di ciambelle fritte saturava l'aria tutt'intorno, proveniente dalla zona riservata agli ospiti, nella tenda dello sceicco.
Il giovane passò un braccio intorno alla vita della ragazza  e un fremito di piacere la percorse tutta; il  corpo  ancora rigido,  Letizia non sapeva quasi dirsi se a procurarle quei fremiti fosse l'aria fresca del mattino oppure la violenza delle sue emozioni.
Harith si tolse il mantello e lo posò con delicatezza sulle spalle di lei che sollevò su di lui gli stupendi occhi sfavillanti sotto le lunghissime ciglia di seta e con un sorriso  lo ringraziò.
Lui la guidava con tenera sollecitudine. Ogni tanto lei sbirciava verso di lui,  il naso adunco e il mento da animale da preda, il profilo sottolineato dalla breve barba, che nel loro insieme gli conferivano una certa somiglianza  con  i simulacri di antichi guerrieri:  bellissimo e un po' selvaggio.
Richiamato da quello sguardo, Harith si chinò sul suo capo;  a lei parve che vi avesse deposto un bacio e tornò a fremere.
"Vieni." la sollecitò.
Il caffè era già sul vassoio quando raggiunsero la tenda e la vecchia Fatima era già pronta a servirlo. La ragazza, però, si liberò del mantello, che restituì al giovane e prese il vassoio dalle mani della vecchia poi, movendosi agile ed  aggraziata nella veste di seta lucida color cipria,  sotto lo sguardo compiaciuto di Harith cominciò a servire; offrì prima  il caffè poi le ciambelle ancora calde e sfrigolanti,  scegliendole una per una  con  le lunghe dita da artista e deponendole nel piatto davanti al giovane; dopo sedette accanto a lui e si servì da sé.
Fatima la scrutava, tra l'incuriosita e la sospettosa, ma Letizia le chiese del dolcificante con un sorriso così radioso, che il volto rugoso della donna si distese immediatamente, poi sorseggiò il suo caffè con un cenno del capo di sincero gradimento.
“Oh! – anche Harith stava sorseggiando il suo – La cara Fatima ne sarà molto compiaciuta, – disse girandosi a guardare la sua nutrice – Lei, però, non ha mai assaggiato il  caffè alla panna e cioccolato che nelle  Botteghe del Caffé   della tua Torino, mia piccola Letizia, delizia il palato… tra una conversazione e l’altra…”
“Parli del Bicerin?”  domandò lei.
“Parlo proprio di quella deliziosa bevanda.” assentì lo sceicco, finendo di sorseggiare e addentando l’ultima ciambella al miele.
Quando nei piatti  e nelle tazze non ci fu più nulla, lasciare traccia di cibo era irrispettoso per l'ospite, Harith si pulì  la bocca sul dorso della mano e si alzò.
Letizia lo imitò;  ringraziò entrambi, sia Harith che la sua nutrice e  fece l'atto di allontanarsi. Lui la trattenne per un braccio mentre con l'altro si sistemava il mantello.
"Aspetta, Letizia. - disse - Ho una sorpresa per te."
"Una sorpresa?"
Lei si fermò; lui fece un cenno affermativo del capo e la prese per mano, guidandola verso l'esterno. La vecchia Fatima le mise uno scialle sulle spalle. La ragazza si girò per ringraziarla con un sorriso, poi seguì il giovane che, in silenzio, proprio come chi  pregusta il sapore di una sorpresa,  le fece attraversare il campo, quasi del tutto deserto  a quell'ora, salvo sentinelle e qualche mattiniero.

Vicino alla Fontana del Fico, quasi al limitare del campo, trovarono il giovane con cui Harith poco prima aveva scambiato qualche parola. Reggeva le briglie di uno splendido cavallo bianco, che tese al suo sceicco prima di allontanarsi.
"Ecco, piccola Letizia. - Harith la inondò di uno sguardo unico e particolare,  quello da cui la scintilla del desiderio sprigiona già al primo incontro... al primo incrociarsi di sguardi. - Il tuo sogno!...  Il principe delle favole, senza macchia né paura, che col suo cavallo  bianco ti rapisce e ti conduce in un luogo incantato!...E' il tuo sogno, hai detto...  Io ho qualche macchia, ma non ho paura e sono qui per realizzare il tuo sogno e condurti in quel  luogo incantato!"
"Oh! - proruppe lei, colta di sorpresa, mentre un lieve rossore le scivolava lungo le guance rilucenti del riflesso del primo sole del mattino - Io non so che dire..."
Lui la guardava incantato.
"Posso aiutarti a montare?" domandò.
Lei fece un cenno affermativo del capo; aspettava  il fuggevole attimo in cui si sarebbe consumato il contatto dei loro corpi... Era preparata ad emozioni e turbamenti, eppure, per   la seconda volta, si lasciò cogliere dalla sorpresa: non s'aspettava  quell'eccitazione, quel vellutato piacere, quando lui le cinse la vita con entrambe le mani e nel sollevarla la tenne così vicino a sé da confondere sguardi e respiri; non s'aspettava la indicibile eccitazione prodotta dal seno serrato e palpitante contro il petto di lui mentre la portava su, prima di deporla sulla sella.
Per un attimo lei lo guardò dall'alto poi, con un balzo, lui le montò alle spalle e insinuò le braccia sotto le sue braccia, intorno al busto, per attirarla a sé e lei si trovò seduta con le ginocchia sul collo dell'animale e con le gambe sulle ginocchia di lui. Trattenne il respiro, sotto l'empito di  una violenta emozione, rigida e tesa, nelle braccia di lui che  con una mano la sosteneva per  la vita e con l'altra reggeva le briglie. E fu allora, quando lo sguardo cadde sulle sue mani, che si accorse della ferita ricucita e ancora fresca tra il polso e il dorso della mano sinistra di lui.





"Ti sei procurato questa ferita battendoti con sir  Richard per me, sceicco?" domandò.
"Chiamami Harith, piccola Letizia… Sì! - assentì lui con un sorriso - Te l'ho detto, dolce gazzella, sono pronto ad affrontare un'intera tribù per i tuoi occhi azzurri."
Lei girò il capo per guardarlo in volto; le guance, poi le labbra si sfiorarono.... pochi secondi.
Letizia ammutolì...  e non solo per l'emozione, ma  anche per lo stupore: si aspettava che Harith la baciasse e la stringesse forte, ma lui non lo fece, nonostante negli occhi gli brillasse quella luce irrequieta con cui nessuno l'aveva mai guardata prima.  Gliene fu grata e ne fu delusa al contempo, ma quel vago timore che per giorni non l'aveva abbandonata l’afferrò quasi di sorpresa.
"Sir Richard si è battuto per mia sorella. – disse, cercando di rendere la voce il più incolore possibile - Adesso   Atena è una donna libera che può decidere della
propria vita come ha sempre fatto, ma... ma io, Harith? - una lieve incrinatura nella voce, che proprio non riuscì ad impedirsi di avere - Cosa sono io? Quale sarà il mio destino?"
"Oh, Letizia! Luce degli Occhi Miei! - proruppe lui,  fermando il cavallo e lasciando andare le redini sul collo dell'animale - Non hai ancora capito che non è il tuo destino ad essere nelle mie mani,  ma è il mio destino ad essere nelle tue?" le mormorò sulla bocca, poi l'avvolse in un abbraccio, le gambe avvinte alle sue, in un spasmodico intreccio di braccia, mani, bocche.   Il seno di lei palpitava contro il torace di lui tambureggiante.
Harith appoggiò la guancia a quella di lei, s'inabissò nel fulgore azzurro dei  suoi occhi e le liberò il capo dal velo; lei lo lasciò fare.
Inebriato, lui le tirò indietro la massa setosa e bionda dei lunghi capelli e la baciò; prima sulla fronte, poi sugli occhi e sulla guancia, per tornare ancora alle palpebre, che lei aveva abbassato,  ma  che lo facevano impazzire per il tesoro che vi nascondevano. Finalmente si fermò sulle labbra.  Lei fremeva e in lui il desiderio premeva, durissimo, come un fiore che spinge per aprirsi. Nelle labbra di lei semiaperte vi trovò sapore di latte e miele; lo stesso che era nella sua bocca. Pago, ma non sazio, passò alla gola e al collo ed a quella tenera curva, proprio fra gola e collo, irresistibile richiamo dei sensi eccitatissimi.

Per qualche attimo lei restò immobile a ricevere amore, intimorita dall'audacia  di lui ma anche timorosa che smettesse; la bocca di lui continuava a cercarla, insieme alle mani ed a percorrerla con grande delicatezza. Poi, egli  le prese una mano, che  portò su di sé. Prima timidamente e timorosamente, poi con più sicurezza, lei si lasciò guidare nella scoperta del corpo di lui... ricerca e scoperta eccitante, terrificantemente meravigliosa. Continuò a "cercarlo" ed a scoprire la sua diversità e lui le lasciò la mano... libera di esplorare da sola.
Tornò da lei. Cominciò sbottonandole la veste di seta aperta sul davanti; uno per uno, i numerosi  bottoncini si arresero sotto le dita eccitate. Il corpetto della veste, aperto, scivolò sulla spalla sinistra, mostrando il tesoro nascosto. Si chinò per saziarsi di baci e inebriarsi del profumo di quella pelle bianca e morbida; le abbassò le bretelle che reggevano il seno, ma lei lo trattenne.
"No!”
Un monosillabo, ma riuscì a fermare il grande predone.

Harith allentò la stretta; un lieve bacio sui capelli, poi le sistemò la veste.

(continua)
brano tratto dal libro   "DUNE ROSSE  - Il Rais dei Kinda"

in forma cartacea  ed  e-book



PER RICHIEDERE IL LIBRO
http://www.amazon.com/Dune-Rosse-Rais-Kinda-Italian/dp/1503229009/ref=asap_bc?ie=UTF8

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mariapace2010@gmail.com


domenica 7 dicembre 2014

NEL VORTICE del SAM




Al galoppo, Rashid cominciò  a percorrere il campo da un capo all'altro: aspettava il sam, la sola forza capace di contrastare il suo dominio sul deserto.
Le straordinarie proporzioni fisiche, nel mantello conteso dalle prime violente raffiche di vento, la  sua figura  salda e potente appariva rassicurante come un baluardo e  resistente come una roccia: virtù ricevute certamente con la nascita, ma che le asprezze della vita  dovevano aver temprato, nutrito e coltivato.  
Una gran calma era calata; una immobilità totale. Non un fremito d’ali, non ronzio di insetto o fruscio di foglie; non un granello si  muoveva: la sabbia pareva pressata. Incollata al suolo.
"Che il potente Visnù abbia pietà di noi!”
Akim si guardò intorno in cerca di un riparo; lo seguivano Zaira e le due figlie del mercante greco e dietro di loro, distanziate di qualche passo, le due schiave di Bibal sfuggite alla vigilanza del padrone.
“Il sam ci spazzerà via tutti come fuscelli." riprese il ragazzo, circondando con  gesto di grande affetto la figlia dell’eremita e cercando di farle scudo col suo corpo.  Zaira, d’altro canto, faceva lo stesso con lui, cosicché avanzavano con passo incerto, ostacolati dalle prime violente folate di vento, ma sorreggendosi l’un l’altra.  
Lo stesso facevano Letizia e sua sorella Atena, alle loro spalle e così le due piccole schiave ed Akim ogni tanto si voltava indietro per sincerarsi della loro presenza.
"Restate uniti e aggrappatevi agli animali." il rais esortava la sua gente; i garretti del suo cavallo affondavano nella sabbia ma questa, sollevandosi ricadeva e restava quasi immota nell’aria. Ferma.
Il sam si fece vicino. Prima con moto quasi impercettibile poi con vivacità, la sabbia cominciò a muoversi, a sollevarsi da sola, senza apparente sollecitudine, accompagnata da un  sibilo leggero.
"Sta arrivando. -gridò Harith - Tenetevi  pronti a...” non riuscì a terminare la frase: un soffio improvviso, potente e rovente, sollevò la sabbia e lo investì, ricacciandogli in gola le parole.
Il vento crebbe insieme al caldo. Divenne vigoroso e bruciante e i turbini presero a succedersi  ad un ritmo così serrato da provocare vertigini. Parlare era difficile, la sabbia penetrava in bocca e si fermava tra i denti.
"Guardate là!"  riuscì a gridare Ibrahim, il vice di Rashid, con quanto fiato aveva in gola, tendendo un braccio verso l'orizzonte.  Chi riuscì ad udirlo, il vento copriva ogni suono, si girò verso la direzione indicata: un’enorme fascia rosa opaca, una nuvola gigantesca sbarrava un cielo incredibilmente azzurro.



Sir Richard, che fino a quel momento si era tenuto discretamente in disparte, non seppe trattenere la sua emozione di fronte a tanta veemenza, tanta terrificante bellezza e indugiò a contemplare con estasiato stupore la natura che si esaltava :
"Corpo di mille balene! - urlò, affascinato più che atterrito da tanta  selvaggia, seducente potenza - Che spettacolo… Quale grandioso spettacolo!"
"Cosa dite, sir?"  Rashid, al suo fianco, urlò anch’egli per farsi udire.
"Mai visto uno spettacolo simile!" continuò ad emozionarsi il lord, letteralmente stregato dal richiamo della natura.
“Al riparo. – lo esortò Rashid sempre urlando – Mettetevi al riparo, sir… insieme al vostro cavallo.” aggiunse, smontando di sella.
Sir Richard lo imitò immediatamente;  tutti gli altri erano già a terra, chi sdraiato, chi in piedi, tutti attaccati agli animali e tutti che guardavano nella stessa direzione: ad est, dove la fascia funesta  allargando, s'andava sfrangiando come un enorme ventaglio sfilacciato. Illuminate dal sole,  le  frange, abbaglianti e fragorose come mille fulmini, giunsero presto a crepitare sulle loro teste e alte lingue di fuoco inondarono il deserto di una spessa luce che aveva il riflesso della morte. L’immensa nuvola si avvicinò. Più vicino. Sempre più vicino.
Giunse, infine, gigantesca, apocalittica, a coprire il cielo, preceduta dal suo urlo agghiacciante. Tremendo, inarrestabile, l’immenso vortice urlava e minacciava; la sua incontenibile furia spazzava ogni cosa al suo passaggio. Era il signore del deserto e la natura si curvava al suo cospetto.
Aggredito, vinto, asfissiato dall'aspro odore di zolfo, l'uomo si arrendeva. Piccola creatura impastata di terra e lacrime, nulla poteva contro quella forza terribile. Bocconi, schiacciato contro il suolo dalla sabbia torrefatta,  stretto nel mantello conteso dal vento in un vorticoso volteggiare di pieghe, consapevole della propria debolezza e fragilità, si nascondeva terrorizzato.
Anche gli animali erano presi da uguale terrore; le froge spalancate, le teste sotto il ventre, si cercavano, si accostavano, si univano gli uni agli altri con le criniere al vento ritte e confuse.
La Natura ardeva e tremava. Le dune si scioglievano come neve e le poche palme rinsecchite di quella che doveva essere stata un tempo un'oasi, gemevano inquiete; i rami ricurvi toccavano la sabbia e la spazzavano.
Il sole, scomparso dietro la fitta coltre opaca ed a tratti sanguigna, aveva  richiamato indietro la notte. Senza quella visione contorta e gemente, ogni cosa sarebbe parsa morta. Il vento trasportava lontano ogni cosa: oggetti, sassi, arbusti e correndo via  lasciava dietro di sé la sua eco agghiacciante e assordante, che si faceva sempre più prolungata.   Era il segnale atteso:  quel sibilo lacerante, ma sempre più sottile, indicava l'allontanarsi del sam.  Lentissimamente, la coltre cominciò a perdere  il tetro, nefasto grigiore; timidi raggi di sole la squarciarono qua e là. Il vento divenne meno asfissiante, l'aria meno rovente ed appestata. Con difficoltà, ma si poteva alfine respirare e guardare il sinistro fantasma non ancora pago, né sazio, correre lontano verso altri luoghi da straziare.
Silenzio!  Un silenzio profondo dopo il fragore. Tutto taceva nella valle morta. Il silenzio calato improvviso era ancora più sinistro del clamore. Ogni cosa era coperta da una sottile coltre calda, lucente, impalpabile.
Un primo cenno di vita: una mano incerta, uno sguardo dilatato. Uomini ed animali si destavano come da un torpore di morte; si guardavano increduli.
"Siamo ancora vivi?" il lord per primo si scrollò di dosso la sabbia, ma era inutile,  questa era ovunque: sotto  burnus e keffiew, negli occhi, nelle orecchie, in bocca.
"Maledetta sabbia. - anche Akim stava destandosi - Si è  infilata ovunque." si lamentava.
Vedendo le sue contorsioni, Rashid, egli pure in piedi  a scrollarsi di dosso la sabbia,  era scoppiato in una bella risata che aveva trascinato gli altri nella scia.
"Ridi. Ridi. Questa sabbia è più fastidiosa di un esercito di pulci."
Anche lo sceicco Harith sorrideva; anche lui era sorto da sotto il suo mantello e tutti gli altri, uno dopo l'altro, parevano svegliarsi da lungo sonno.
"Siamo vivi!" esclamò Rashid.
"Sì! Ma non sappiamo in quanti." gli fece eco Harith.
Aveva assunto un’espressione preoccupata, ma neppure Rashid, ora, sorrideva più; il volto era incupito e la fronte increspata da timori. Si staccò da Akim, che solo in quel momento parve accorgersi dell’assenza di Zaira.
“Dov’è Zaira?… Dove sono le ragazze? Erano qui con me… Che cosa  è successo loro? –    andava dicendo, assai preoccupato – Devo cercare Zaira e le ragazze che erano con lei.” aggiunse allontanandosi di corsa.
Anche Rashid e Harith si allontanarono in fretta e passarono in rassegna il campo. Per fortuna solo qualche lieve ferito e diverse casse andate distrutte. Con una sola grave eccezione: il cavallo di Gamal, uno dei più giovani cavalieri di Harith, che ne uscì con un garretto spezzato.
Gamal fu costretto ad abbatterlo e lo fece tra i singhiozzi, non lasciando ad altri il penoso compito.       

                
Sir Richard ne restò assai impressionato e Rashid gli parlò di quanto preziosa fosse la compagnia di un animale per gente come loro. Gli spiegò che era proprio al cavallo che Dio aveva legato il destino del Beduino: alla possanza del suo dorso, alla forza del suo garretto ed all’allegria della sua criniera al vento.
Ama il tuo cavallo come una parte del tuo cuore, ci ha insegnato il Profeta.” concluse il rais.
Il cavallo di Gamal fu seppellito sotto la sabbia: nessuno avrebbe mangiato mai la sua carne.
I cammelli, intanto, acquattati per terra, docili e fermi, legati gli uni agli altri per non farli scappare, si lasciavano caricare del bottino; non senza brontolii: l’aria era satura dei loro versi.
“I cammelli non sembrano molto contenti. – scherzò il lord – Ma senza di loro saremmo sopravvissuti in pochi.”
“I cammelli sono saggi e generosi. – spiegò lo sceicco – Lo sapete, sir, che un cammello muore con la testa arrovesciata all’indietro per guardare la strada che ha percorso e la fatica che ha sopportato?”
Corpo di mille balene! – esclamò il lord – Tutto il mio rispetto per queste bestie così generose e lasciatemi aggiungere, sceicco, credevo di non uscire vivo da quest'inferno.
"Allah è stato misericordioso!" fece Ibrahim, alle sue spalle.

"Le tante tempeste che mi hanno colto in mare,- proseguì il lord - Non mi hanno procurato lo smarrimento avuto quando mi sono trovato in mezzo a quell'orribile turbine nero…. L'inferno… se ce n'è uno, ah,ah. – rise - deve essere fatto proprio così!"

brano tratto da     DUNE ROSSE - Il Rais dei Kinda



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domenica 23 novembre 2014

DUNE ROSSE I° Volume


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Dune Rosse: Il Rais dei Kinda (Volume 1) (Italian Edition) (Italian) Paperback – Large Print, November 15, 2014






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