Letizia era
una sognatrice. Sempre persa, diceva con indulgenza sua sorella Atena, dietro
sogni e fantasticherie; sempre attratta da mondi sconosciuti e lontani e da
persone cariche di fascino e mistero, lontane dal suo ambiente: il
principe Harith, bello e irraggiungibile, era proprio la figura giusta per
alimentare i suoi sogni e le sue fantasie.
Protetta
dalla penombra, seguiva affascinata ogni suo gesto mentre Fatima, la nutrice,
gli posava sulle spalle la Ksa, il bianco mantello svolazzante, che tanto faceva
sognare le donne europee... e non solo quelle.
Fatima
rientrò sotto la tenda e Harith fece qualche passo in avanti, ma si fermò
subito e si girò, quasi avesse sentito il richiamo di quello sguardo
balenante.
"Letizia!
- esclamò andandole incontro a lunghi passi e fermandosi davanti alla ragazza;
sopra le cime piumate delle palme, la luna brillava ancora, ma le stelle
andavano velocemente impallidendo e il fuoco più vicino ardeva basso – Ti
chiami Letizia?… Letizia e gioia per lo sguardo... - sorrise, poi aggiunse,
dopo breve pausa - Sei mattiniera, bella Letizia e l'Aurora ha le tue sembianze
."
Lei abbassò
gli occhi e per coprire il rossore di cui s'era cosparso il bellissimo volto,
si calò il velo.
Lo ripeteva
sempre ad entrambe, a lei e ad Atena, il caro padre compianto, da quando
erano scesi dalla nave che li aveva portati da Atene, lo ripeteva sempre
di coprirsi il volto in presenza di un estraneo, se di fede islamica,
perché, diceva, "qui è considerato indecente l’usanza dei cristiani di
permettere alle donne di mostrare il volto."
Harith
sorrise al gesto: le donne beduine non usavano coprire e nascondere i loro
bellissimi volti, così come era imposto alle donne di città e della costa. Però
non disse nulla: gli occhi di quella creatura, pensava, di quell'azzurro
intenso rubato al cielo, erano sufficienti a sconvolgere i suoi sensi.
"Amo
questo momento del giorno. - la sentì dire - Mi permette di scrutare nel
mio intimo e di dare spazio ai miei sogni e ai miei desideri."
"Sogni
e desideri? - sorrise ancora lui - Se Letizia mi confida i suoi sogni e i suoi
desideri, io le confiderò i miei." aggiunse posandole una mano sulla
spalla e sospingendola delicatamente in avanti. Proseguirono per breve tratto,
poi lei si fermò e sollevò su di lui gli straordinari occhi azzurri.
"Oh!
Io ho pochi desideri e molti sogni." disse.
"Ma...
- replicò Harith, completamente ammaliato dal balenio azzurro di quegli occhi -
Io desidero tutto quello che sogno."
"Oh,
no! - soggiunse lei - I desideri sono realizzabili, ma i sogni sono
irraggiungibili. Ecco perché i miei desideri sono modesti e i sogni, invece,
assai grandiosi... I miei sogni - sorrise - non hanno limiti né orizzonti...
Non hanno tempo... Sono sogni!"
"Ma i
sogni possono diventare realtà, piccola Letizia. Esprimi i tuoi sogni e i tuoi
desideri e forse..."
"I
miei desideri? Oh, io desidero incontrare Alma, la nipotina che ancora non
conosco."
"Sono
certo che la incontrerai un giorno."
Harith le
sfiorò con la punta delle dita il volto proteso e nascosto dal velo; Letizia
fremette e riprese:
"E
vorrei tornare in Italia, un giorno. - una lieve incrinazione nella voce -
Vorrei tornare a Torino, la città dove sono nata."
"Ma...
- trasecolò il giovane - Non sei nata ad Atene? Credevo che il mercante Aristo Gallas
fosse arrivato a Doha assieme alle sue due figlie da Atene."
Lei scosse
il capo.
"Io
sono figlia di Vittorio Bosio, archeologo e collega del professor Starti, amico
di Aristeo Gallas. Avevo dodici anni quando mio padre morì... Aristeo si prese cura di me e mi adottò...
Atena non è mia sorella di sangue, ma è molto più che lo fosse.” sorrise e si calò giù il velo. Quasi con
civetteria. Ma lo tenne sulle labbra.
“Tu,
dunque, piccola Letizia, vieni dall’Italia? Oh!… - esclamò lui – Tu credi al
destino?”
Letizia non
rispose subito; sentiva, nell’aria fresca del mattino che andava formandosi,
qualcosa di nuovo, di avventurato, quasi di imminente sorpresa.
“Non so.”
rispose scuotendo il capo.
“Io ho
vissuto per quasi quattro anni in Italia… proprio a Torino
dove …”
“Davvero?”
l’interruppe lei quasi in uno slancio di gioia; egli assentì col capo e proseguì:
“Ero
studente alla Regia Scuola di Applicazione per Ingegneri. – spiegò - Per perfezionare i
miei studi di Idraulica e…”
“Quella
Scuola con sede al Castello del Valentino? - lo interruppe per la seconda volta
la ragazza sgranando gli occhi dalla sorpresa – Da bambina andavo tutti i
pomeriggi con la mia mamma a spingere il cerchio proprio nella strada davanti
al Castello del Valentino o a leggere fiabe, seduta su una delle panchine del
Viale.”
“Ma allora,
piccola Letizia… non può essere che noi due ci siamo già incontrati e che per
questo a me pare di conoscerti da sempre? – mormorò lui sfiorandole teneramente
la tempia - Io ho già visto lo splendore di questi due occhi azzurri e adesso
capisco dove… E tu… tu, piccola Letizia, sogni ancora?”
“Io non ho
mai smesso di sognare. – gli occhi di Letizia sfavillarono - Quando ero bambina
e leggevo i libri di favole, sognavo giungle e Templi misteriosi... deserti
ed isole sperdute. Io… io sogno ancora... - s'interruppe; quel pizzico di
splendida malizia che le attraversò lo sguardo conquistò definitivamente il
cuore del bel predone - Non... non sorriderai del mio sogno se te lo
confido?"
"Non
sorriderò. - lui la guardava incantato, come si guarda un prodigio – Dimmelo e
anche io ti confiderò il mio sogno."
"Io
sogno ancora il principe delle favole... - sorrise - senza macchia né
paura, che mi rapisce sul suo cavallo bianco e mi porta lontano, in un luogo
incantato."
"Splendido
sogno, dolce Letizia. – anche Harith tornò a sorridere poi aggiunse - Io non ti
dirò qual è il mio sogno, ma te lo mostrerò... dopo che avremo fatto onore al
caffè ed alle ciambelle al miele della cara Fatima."
Il sole,
intanto, comparso all'orizzonte, stava lacerando l'ultima foschia del
crepuscolo del mattino, permettendo al giorno di avanzare veloce. Harith fece
un cenno e un giovane si avvicinò; lo sceicco gli bisbigliò qualcosa
all'orecchio e quello si allontanò veloce.
Un profumo
di caffè e di ciambelle fritte saturava l'aria tutt'intorno, proveniente dalla
zona riservata agli ospiti, nella tenda dello sceicco.
Il giovane
passò un braccio intorno alla vita della ragazza e un fremito di piacere la percorse tutta; il corpo
ancora rigido, Letizia non sapeva quasi dirsi se a procurarle quei
fremiti fosse l'aria fresca del mattino oppure la violenza delle sue emozioni.
Harith si
tolse il mantello e lo posò con delicatezza sulle spalle di lei che sollevò su
di lui gli stupendi occhi sfavillanti sotto le lunghissime ciglia di seta e con
un sorriso lo ringraziò.
Lui la
guidava con tenera sollecitudine. Ogni tanto lei sbirciava verso di lui,
il naso adunco e il mento da animale da preda, il profilo sottolineato dalla
breve barba, che nel loro insieme gli conferivano una certa somiglianza
con i simulacri di antichi guerrieri: bellissimo e un po'
selvaggio.
Richiamato
da quello sguardo, Harith si chinò sul suo capo; a lei parve che vi
avesse deposto un bacio e tornò a fremere.
"Vieni."
la sollecitò.
Il caffè
era già sul vassoio quando raggiunsero la tenda e la vecchia Fatima era già
pronta a servirlo. La ragazza, però, si liberò del mantello, che restituì al
giovane e prese il vassoio dalle mani della vecchia poi, movendosi agile
ed aggraziata nella veste di seta lucida color cipria, sotto lo
sguardo compiaciuto di Harith cominciò a servire; offrì prima il caffè
poi le ciambelle ancora calde e sfrigolanti, scegliendole una per
una con le lunghe dita da artista e deponendole nel piatto davanti
al giovane; dopo sedette accanto a lui e si servì da sé.
Fatima la
scrutava, tra l'incuriosita e la sospettosa, ma Letizia le chiese del
dolcificante con un sorriso così radioso, che il volto rugoso della donna si
distese immediatamente, poi sorseggiò il suo caffè con un cenno del capo di
sincero gradimento.
“Oh! –
anche Harith stava sorseggiando il suo – La cara Fatima ne sarà molto
compiaciuta, – disse girandosi a guardare la sua nutrice – Lei, però, non ha
mai assaggiato il caffè alla panna e
cioccolato che nelle Botteghe del Caffé della tua Torino, mia piccola Letizia,
delizia il palato… tra una conversazione e l’altra…”
“Parli del Bicerin?” domandò lei.
“Parlo
proprio di quella deliziosa bevanda.” assentì lo sceicco, finendo di sorseggiare
e addentando l’ultima ciambella al miele.
Quando nei
piatti e nelle tazze non ci fu più nulla, lasciare traccia di cibo era
irrispettoso per l'ospite, Harith si pulì la bocca sul dorso della mano e
si alzò.
Letizia lo
imitò; ringraziò entrambi, sia Harith che la sua nutrice e fece
l'atto di allontanarsi. Lui la trattenne per un braccio mentre con l'altro si
sistemava il mantello.
"Aspetta,
Letizia. - disse - Ho una sorpresa per te."
"Una
sorpresa?"
Lei si
fermò; lui fece un cenno affermativo del capo e la prese per mano, guidandola
verso l'esterno. La vecchia Fatima le mise uno scialle sulle spalle. La ragazza
si girò per ringraziarla con un sorriso, poi seguì il giovane che, in silenzio,
proprio come chi pregusta il sapore di una sorpresa, le fece
attraversare il campo, quasi del tutto deserto a quell'ora, salvo
sentinelle e qualche mattiniero.
Vicino alla
Fontana del Fico, quasi al limitare del campo, trovarono il giovane con cui
Harith poco prima aveva scambiato qualche parola. Reggeva le briglie di uno
splendido cavallo bianco, che tese al suo sceicco prima di allontanarsi.
"Ecco,
piccola Letizia. - Harith la inondò di uno sguardo unico e particolare,
quello da cui la scintilla del desiderio sprigiona già al primo incontro... al
primo incrociarsi di sguardi. - Il tuo sogno!... Il principe delle
favole, senza macchia né paura, che col suo cavallo bianco ti rapisce e
ti conduce in un luogo incantato!...E' il tuo sogno, hai detto... Io ho
qualche macchia, ma non ho paura e sono qui per realizzare il tuo sogno e
condurti in quel luogo incantato!"
"Oh! -
proruppe lei, colta di sorpresa, mentre un lieve rossore le scivolava lungo le
guance rilucenti del riflesso del primo sole del mattino - Io non so che
dire..."
Lui la
guardava incantato.
"Posso
aiutarti a montare?" domandò.
Lei fece un
cenno affermativo del capo; aspettava il fuggevole attimo in cui si
sarebbe consumato il contatto dei loro corpi... Era preparata ad emozioni e
turbamenti, eppure, per la seconda volta, si lasciò cogliere dalla
sorpresa: non s'aspettava quell'eccitazione, quel vellutato piacere,
quando lui le cinse la vita con entrambe le mani e nel sollevarla la tenne così
vicino a sé da confondere sguardi e respiri; non s'aspettava la indicibile
eccitazione prodotta dal seno serrato e palpitante contro il petto di lui
mentre la portava su, prima di deporla sulla sella.
Per un
attimo lei lo guardò dall'alto poi, con un balzo, lui le montò alle spalle e
insinuò le braccia sotto le sue braccia, intorno al busto, per attirarla a sé e
lei si trovò seduta con le ginocchia sul collo dell'animale e con le gambe
sulle ginocchia di lui. Trattenne il respiro, sotto l'empito di una
violenta emozione, rigida e tesa, nelle braccia di lui che con una mano
la sosteneva per la vita e con l'altra reggeva le briglie. E fu allora,
quando lo sguardo cadde sulle sue mani, che si accorse della ferita ricucita e
ancora fresca tra il polso e il dorso della mano sinistra di lui.
"Ti
sei procurato questa ferita battendoti con sir Richard per me, sceicco?"
domandò.
"Chiamami
Harith, piccola Letizia… Sì! - assentì lui con un sorriso - Te l'ho detto,
dolce gazzella, sono pronto ad affrontare un'intera tribù per i tuoi occhi
azzurri."
Lei girò il
capo per guardarlo in volto; le guance, poi le labbra si sfiorarono.... pochi
secondi.
Letizia
ammutolì... e non solo per l'emozione, ma anche per lo stupore: si
aspettava che Harith la baciasse e la stringesse forte, ma lui non lo fece,
nonostante negli occhi gli brillasse quella luce irrequieta con cui nessuno
l'aveva mai guardata prima. Gliene fu
grata e ne fu delusa al contempo, ma quel vago timore che per giorni non
l'aveva abbandonata l’afferrò quasi di sorpresa.
"Sir
Richard si è battuto per mia sorella. – disse, cercando di rendere la voce il
più incolore possibile - Adesso Atena è una donna libera che può
decidere della
propria vita come ha sempre fatto, ma... ma io, Harith? - una
lieve incrinatura nella voce, che proprio non riuscì ad impedirsi di avere -
Cosa sono io? Quale sarà il mio destino?"
"Oh,
Letizia! Luce degli Occhi Miei! - proruppe lui, fermando il cavallo e
lasciando andare le redini sul collo dell'animale - Non hai ancora capito che
non è il tuo destino ad essere nelle mie mani, ma è il mio destino ad
essere nelle tue?" le mormorò sulla bocca, poi l'avvolse in un abbraccio,
le gambe avvinte alle sue, in un spasmodico intreccio di braccia, mani,
bocche. Il seno di lei palpitava contro il torace di lui
tambureggiante.
Harith
appoggiò la guancia a quella di lei, s'inabissò nel fulgore azzurro dei
suoi occhi e le liberò il capo dal velo; lei lo lasciò fare.
Inebriato,
lui le tirò indietro la massa setosa e bionda dei lunghi capelli e la baciò;
prima sulla fronte, poi sugli occhi e sulla guancia, per tornare ancora alle
palpebre, che lei aveva abbassato, ma che lo facevano impazzire per
il tesoro che vi nascondevano. Finalmente si fermò sulle labbra. Lei fremeva e in lui il desiderio premeva,
durissimo, come un fiore che spinge per aprirsi. Nelle labbra di lei semiaperte
vi trovò sapore di latte e miele; lo stesso che era nella sua bocca. Pago, ma
non sazio, passò alla gola e al collo ed a quella tenera curva, proprio fra
gola e collo, irresistibile richiamo dei sensi eccitatissimi.
Per qualche
attimo lei restò immobile a ricevere amore, intimorita dall'audacia di
lui ma anche timorosa che smettesse; la bocca di lui continuava a cercarla,
insieme alle mani ed a percorrerla con grande delicatezza. Poi, egli le
prese una mano, che portò su di sé. Prima timidamente e timorosamente,
poi con più sicurezza, lei si lasciò guidare nella scoperta del corpo di lui...
ricerca e scoperta eccitante, terrificantemente meravigliosa. Continuò a
"cercarlo" ed a scoprire la sua diversità e lui le lasciò la mano...
libera di esplorare da sola.
Tornò da
lei. Cominciò sbottonandole la veste di seta aperta sul davanti; uno per uno, i
numerosi bottoncini si arresero sotto le dita eccitate. Il corpetto della
veste, aperto, scivolò sulla spalla sinistra, mostrando il tesoro nascosto. Si
chinò per saziarsi di baci e inebriarsi del profumo di quella pelle bianca e
morbida; le abbassò le bretelle che reggevano il seno, ma lei lo trattenne.
"No!”
Un
monosillabo, ma riuscì a fermare il grande predone.
Harith
allentò la stretta; un lieve bacio sui capelli, poi le sistemò la veste.
(continua)
brano tratto dal libro "DUNE ROSSE - Il Rais dei Kinda"
in forma cartacea ed e-book
PER RICHIEDERE IL LIBRO
http://www.amazon.com/Dune-Rosse-Rais-Kinda-Italian/dp/1503229009/ref=asap_bc?ie=UTF8
o direttamente presso l'autrice AUTOGRAFATO
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