DUNE ROSSE

DUNE  ROSSE

DUNE ROSSE


Saga appassionante e coinvolgente composta da quattro volumi

DUNE ROSSE - Il Rais dei Kinda
DUNE ROSSE - Fiamme sul Deserto
DUNE ROSSE - Nella tana del cobra
DUNE ROSSE - L'Avvoltoio lasciò il nido (prossimamente)

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giovedì 2 luglio 2015

L'ALTRA DONNA




Jasmine si allontanò, prendendo la strada opposta a quella su cui si era incamminata l'altra donna del suo Rashid. Sapeva che Rashid aveva altre donne. Se lo ripeteva ogni attimo del giorno. Un pensiero fisso e irremovibile. Loro due si erano appena sfiorati e nulla al mondo era stato per lei così meraviglioso, stupefacente e  terrificantemente piacevole del fuggevole contatto con la diversità di lui. Il loro primo bacio! Tra gli oleandri del giardino, a Doha. Così dolce e sconvolgente, tanto da richiamare in gola tutte le emozioni nascoste nei meandri più profondi dello spirito ancora vergine.
Ma per lui non doveva essere stato così! Le numerose donne che gli avevano dato piacere non erano come lei. Le numerose donne da cui Rashid traeva piacere erano come Selima. Donne  le cui bocche gli si aprivano facilmente e voluttuosamente… Non come lei, che aveva esitato   prima di scoprire che aprire la bocca ai suoi baci, era la cosa più semplice, dolce e spontanea.
L'ultima cosa che desiderava adesso, però, era che Rashid pensasse che lei volesse spiare lui e la sua Favorita... Spiare, pensava... spiare con occhi supplichevoli e smarriti e con la stolta gelosia della donna che si nasconde e spasima. No! Non era da lei.
Ed intanto, proseguendo,  il passo già affondava nella sabbia vicino alla monumentale Fontana del Fico, la cui ombra proiettata al suolo, malinconica e solitaria, la inghiottì subito.

Si tirò un lembo del velo e  se lo  avvolse   intorno     alla persona, come a volersi nascondere. Come se quel velo, intimo ed accogliente, fosse il rifugio della sua tenda, dove, sola  e al chiuso, poteva nascondere e consolare la sua grande pena d'amore.
Povero, vano e inutile sentimento: i baci appassionati, le carezze, la stretta tenace del “suo” Rashid non  erano per lei; le passioni di lui erano soddisfatte altrove. A lei non restava che quell'angoscia dilaniante... la gelosia: troppo fugaci i loro incontri... quelli suoi e di Rashid; troppo casti i loro contatti...  Selima, invece...  gli sguardi avidi, le carezze predaci, la  carne di lei contratta di spasimo sotto  la mano brutalmente dolce e possessiva  di lui che... No...
“E’ la volontà di Allah! – provò a consolarsi – E’ la volontà di Allah! Egli vede nel cuore dell’uomo e sa che cosa è bene per lui… per questo  gli offre l’amore di altre donne… Allah è grande!”
Allora perché la “visione” dei corpi avvinghiati di Selima e del “suo” Rashid era così insultante e provocatoria?
Forse Letizia aveva ragione a non voler dividere il suo uomo con altre donne. Forse…
(continua)

brano tratto da "DUNE ROSSE Fiamme sul deserto"

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mariapace200@gmail.com   


sabato 6 giugno 2015

SELIMA


.................. 
Vedendolo da lontano, Selima si alzò e gli fece cenno di avvicinarsi; Rashid affrettò il passo.
“Dov’è Jasmine? – chiese, appena le ebbe raggiunte, lasciando scorrere tutt’intorno lo sguardo avido di desiderio e colmo di tenerezza – Non è qui?”
Gli rispose il sorriso smagliante della sua Favorita che con un cenno ordinava ad una delle ragazze di posare il ricamo e di prendere in mano il liuto.
“Dov’è Jasmine?” ripeté la domanda, ma Selima avanzò verso di lui ancheggiando sulle note sensuali, allusive e dolci della musica, avvolta dagli effluvi di un profumo penetrante come lo sguardo; anche questo allusivo.
Il giovane si fermò; le sorrise; la bocca di lei carnosa si fece invitante, gli sguardi audaci e il corpo, abbondante e generoso, fremeva.  Con l’ultima nota, la ragazza gli si avvinghiò al petto, offrendogli la bocca ingorda.
Uno dei suoi fascini segreti era proprio quella lussuria. Lo sapeva bene Selima, prigioniera di una cultura che la voleva creata per il solo piacere del maschio. Lei, invece, non nascondeva per nulla i suoi appetiti sessuali e questo la rendeva viziosa agli occhi di tutti, ma  irresistibile per il giovane rais.  
“Ah.ah.ah...“ sorrise lusingato Rashid, sfiorandole con gesto innocente il volto trasfigurato dal desiderio.
Incoraggiata dal sorriso e dalla carezza, la ragazza continuò il gioco della seduzione e della provocazione. Lo sguardo femminilmente perfido, reso esigente dalla noia, si fece sempre più languido e le carezze del tutto indecenti.
“Ah.ah.ah...“ continuava a ridere il giovane, tra il divertito e il lusingato, ma con un velo di  delusione negli occhi per l’assenza di Jasmine.
“La principessa? – lo raggiunse  alle spalle la voce di una delle ragazze – E’ andata a far visita ad Alina.”
Il giovane  dirottò lo sguardo avanti a sé, in direzione della tenda della madre di Ibrahim, a otto o dieci metri dal gruppo delle donne ed un verde balenio quasi l’accecò d’emozione: gli occhi di Jasmine, fissi su di lui e Selima.
Si liberò immediatamente della stretta della ragazza che, indispettita e contrariata, non sorrideva più ed  agitava nervosamente il piede sinistro. 
Selima non era un’ingenua ragazza. Conscia d’esser stata baciata in fronte dalla sorte, aveva sempre considerato la sua posizione di favorita del capo con sguardo di donna completa e navigata. Ma sapeva anche di non poter trattenere i pensieri inafferrabili di un uomo come Rashid, né di impedirgli attenzioni, di quanto in quanto,  per altre ragazze: lui, il maschio che si impadroniva, quando voleva, della femmina che gli piaceva.
Non se ne era mai curata troppo, in verità. Egli era tornato sempre a lei ed ai loro epidermici, forsennati incontri. Da qualche tempo, però, la sua presa non era più avvinghiante e frenetica, né le carezze predaci e brutalmente dolci, così come piacevano a lei, capaci di darle quel serpentino, irrinunciabile spasmo di piacere. 
La ragazza tese nuovamente le braccia; il corpo ansimante e una spudorata sfrontatezza  di sguardi e sorrisi,  ma lui la scostò.
Rashid la scostò da sé con fermezza e quasi con astio, quasi le attribuisse come una colpa l’averle dato quel poco, quel niente, che ora gli pareva di aver sottratto alla sua Jasmine, che li guardava da lontano.
La scostò bruscamente, tanto che Selima barcollò prima di riprendere l’equilibrio, poi le dette  le spalle e si allontanò quasi di corsa per raggiungere Jasmine.

Jasmine, però,  aveva già lasciato andare il lembo che fungeva d’apertura per arieggiare la tenda ed era scomparsa al suo interno.
(continua)
brano tratto da  "DUNE ROSSE - Fiamme sul deserto"

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mariapace2010@gmail.com

domenica 18 gennaio 2015

DUNE ROSSE volume II°




Dune Rosse: Fiamme sul Deserto (Volume 2) (Italian Edition) (Italian)Paperback – December 24, 2014

ISBN-13: 978-1505685718  ISBN-10: 1505685710  Edition: 1st

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Paperback, December 24, 2014
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sabato 17 gennaio 2015

Il giorno della Sposa




 ......
Il giorno atteso, alfine, giunse:   Il giorno della Sposa, che ebbe inizio con le prime luci dell'alba. Le donne della tribù erano tutte con lei nel piano terra della residenza che il lord inglese aveva scelto per sé nel Fortino diroccato, ad est dell’oasi.
Indossavano tutte gli abiti più belli e i gioielli più luccicanti e preziosi e le più giovani avevano portato alud e tandir, sulle cui note altre giovanissime si muovevano con grazia e un pizzico di malizia. Jasmine comparve avvolta in un ampio mantello bianco e tutte le corsero incontro, la circondarono, l'abbracciarono, la baciarono e poi tornarono ai loro posti a cantare, suonare, danzare e consumare pasticcini e datteri, accompagnando la dolce abbuffata con succhi di frutta e di melone che Alina continuava a portare in splendide caraffe d'argento disposte su grossi vassoi.
Accanto alla sposa erano rimaste solamente in tre e la liberarono subito del mantello poi la fecero sedere su uno sgabello e l’aiutarono a liberarsi degli abiti e lei sbocciò in tutta la sua bellezza, come un fiore di primavera.
"Bene, principessa Jasmine!... Bene!"  approvò la più anziana di loro, sciogliendole i lunghi capelli scuri e ricci, mentre bisbigli di ammirazione l’avvolgevano come in un manto profumato d’affetto.
 Jasmine si sottopose di buon grado a quel rito, anche se un lieve rossore era venuto a coprirle il volto, nel tentativo di sottrarsi agli sguardi indulgenti e divertiti delle donne.
"Sei bellissima! - le dicevano - I tuoi fianchi sono morbidi e tondi,  le gambe sono slanciate e perfette e i seni... oh, i seni sono generosi e di bella forma...”
“Faranno la gioia e la delizia del nostro rais... ah.ah..." sorridevano affettuose.
“Da grande voglio diventare bella come la principessa Jasmine.” esclamò entusiasta Agar, l’ultimogenita di Alina, accarezzando il mantello della sposa che aveva avuto in cura.
          
 “La nostra bella Jasmine avrebbe dovuto acquistare ancora qualche chilo... forse… – si girarono tutte in direzione dell’uscio su cui era apparsa Selima – E tu, piccola Agar, dovresti fare lo stesso… fra qualche anno…” aggiunse avanzando dondolando in tutta la sua pinguedine, colei che era stata la Favorita del rais.
Letizia, seduta su un cuscino ai piedi della sposa, smise di suonare e fece convergere uno sguardo di disapprovazione sul faccione della ragazza.
“La piccola Agar non è la sola che vorrebbe assomigliare alla cara Jasmine…” disse.
Jasmine arrossì e non rispose. Appariva assorta e  pensierosa mentre la lama del rasoio scivolava leggera sul corpo unto d'olio profumato. Dopo la depilazione seguì il massaggio, sempre tra canti e suoni, infine la inondarono di profumi e la truccarono con l'henné: mani e caviglie coperti da segni il cui significato, la vecchia Alina andava spiegando con dovizia di particolari.  Le furono laccate anche le unghia di mani e piedi, poi passarono al trucco degli occhi e delle labbra: verde malachite per far risaltare lo sguardo e rosso carminio per rendere ancora più  sensuale le labbra carnose.
“Portate l’abito nuziale.” disse Alina alle due figlie minori.

In verità, la sposa avrebbe cambiato d’abito in ognuno di quei cinque giorni di festa, ma il primo doveva essere il più ricco e sontuoso.
Bellissimo e prezioso, il vestito da sposa della principessa Jasmine era un vero sogno. Verde come gli straordinari occhi.
Sopra la biancheria intima, di preziosa seta ornata di merletti, Alina le adagiò una splendida tunica di luccicante raso, impreziosita da ricami dorati ed applicazioni di pietre preziose; aderente sui fianchi, scivolava giù morbidamente ampia, orlata di ricami, gli stessi delle maniche ampie ed asimmetriche. Un’ampia cintura dorata sottolineava l’esile vita da cui il busto sbocciava come un fiore carnoso.
Letizia e Zaira le si avvicinarono reggendo un mantello senza maniche, anche questo di colore verde e impreziosito dagli stessi ricami della tunica; glielo posarono sulle spalle con gesto d’affetto e commozione.
Sui capelli, divisi a metà e trattenuti sulla nuca, le misero un magnifico diadema cui era legato il velo di finissimo voile.
Vaporoso e preziosissimo per gli innumerevoli minuscoli diamanti e smeraldi di cui era tempestato, pareva una nuvola verde dietro cui i contorni del bellissimo volto della sposa sfocavano in un suggestivo gioco di vedo-non-vedo dai riflessi d’oro. Oro anche per ornare polsi e dita: quasi un trasparentissimo guanto di finissima filigrana che metteva in risalto le figure dipinte con l’henné.
Dolce e sensuale, la musica di alud e tandir, nelle mani delle ragazze, accompagnava ogni gesto.
Nell’allegro brusio di risatine, gridolini ed esclamazioni, il tempo scorreva veloce, insieme al tintinnio degli argenti delle brocche e dei vassoi:  bevevano e mangiavano e qualcuna fumava il narghilè, che  diffondeva nell’aria un odore acre e tenue, assieme a quello  di tutti quei giovani corpi profumati ed eccitati.

Finalmente la sposa fu pronta.
(continua)

brano tratto da DUNE ROSSE- Fiamme sul deserto

I PRIGIONIERI di SALWALAH





................
Salwah sorgeva su una di quelle collinette, circondata da palmizi e brevi mura merlate che proteggevano case e minareti affacciati su una verde distesa erbosa.
Ibrahim tese la mano proprio in quella direzione.
“E’ laggiù che troveremo Hamed e gli altri prigionieri. – disse, poi aggiunse – Poco più di una dozzina, ci hanno informati.”
Lo spettacolo cui poco più tardi i due amici si imbatterono, proprio all’uscita della cittadina, era davvero lugubre e sinistro: la fila dei condannati delle prigioni di Salwah.
La scortavano due guardie armate di fucili, pugnali  e frusta, che ogni tanto facevano schioccare minacciosamente. I prigionieri, una teoria di indumenti disuguali e laceri, erano a piedi nudi e le caviglie erano imprigionate in due cerchi di ferro assicurati ad un’asta che rendeva lenta e assai penosa l’avanzata. A rallentare la marcia, però, era anche la lunga catena che legava l’uno all’altro quegli infelici,  attraverso quadrati collari di ferro così pesanti da provocare cicatrici ed arrossamenti a collo e spalle. Se anche fosse venuta loro qualche tentazione di fuga, quell’inumana tortura avrebbe spento ogni intenzione e speranza.
Suo malgrado, pur avvezzo ad ogni genere di brutture, il lord ebbe un brivido che gli attraversò la schiena; Ibrahim, al suo fianco, trattenne un’imprecazione.
I due si accostarono al ciglio della strada e fermarono i cavalli;  la colonna dei condannati si trascinò, passando davanti a loro. Qualcuno sollevò lo sguardo, torvo e rassegnato; altri sguardi, però, scintillavano di una luce rabbiosa e ribelle.
“Quello è Hamed. – proferì  Ibrahim con un cenno del capo, indicando l’ultimo prigioniero legato a quella catena – Devo farmi riconoscere e dirgli di tenersi pronto.” e balzò giù di sella, muovendo un passo in avanti.
“Aspetta! – lo fermò il compagno – Ho già provveduto a cosa fare. - spiegò smontando anch’egli – Non è la carità del buon musulmano a nutrire questi disgraziati? Ho portato del pane da far distribuire. Potremo avvicinarci senza destar sospetti.”
Così fecero. Presero del pane dalle bisacce poggiate sulle groppe  di uno dei muli del seguito e si fecero avanti per la distribuzione. Pane fresco e profumato che svegliò anche l’appetito degli uomini di scorta i quali si avvicinarono per controllare; Ibrahim aveva raggiunto il cugino e gli stava porgendo una grossa forma di pane confabulando con lui sottovoce.
Le mani si tesero, grandi e piccole, rugose e giovanili; di vecchi, giovani e perfino adolescenti e gli sguardi si accesero nelle orbite illividite; risveglio di espressioni sulle facce inebetite da maltrattamenti, vergogna e rassegnazione.
D’improvviso il fragore di zoccoli sul selciato irruppe su quella teoria di miseria e  disperazione e un gruppo di cavalieri lanciati al galoppo arrivò tra uno svolazzare di mantelli e gualdrappe colorate.  Arrivò con i fucili in mano, branditi in alto sulle teste e appena caricati  al galoppo. Come solo loro sapevano fare: gli uomini della tribù dei Kinda.
Di colpo si fermarono. Tutti insieme. Di fianco alla colonna dei prigionieri. Terribili e minacciosi, mentre i cavalli si irrigidivano, puntando i garretti e spalancando  froge e bocche tirate dal morso.

Mentre Rashid ed Ibrahim correvano su e giù lungo la colonna, gli altri liberarono i prigionieri dalla catena, poi li presero in groppa dietro di loro e così come  erano giunti, fulminei e turbolenti, si allontanarono.

Sir Richard ed Ibrahim  li seguirono subito dopo, a loro volta inseguiti dagli sguardi allibiti degli uomini della scorta che, nel pragmatico fatalismo tutto arabo, accettarono di buon grado la legge del più forte.
(continua)
brano tratto da:   "DUNE ROSSE  -  Fiamme sul deserto"

venerdì 16 gennaio 2015

Ombre e gelosie





......
Un taciturno disagio si creò fra lei e Jasmine che cercava di evitarne lo sguardo.
La principessa rispondeva con sorrisi ai sorrisi di sarcastica ilarità con cui l’altra a tratti cercava di colmare quel disagio. E sorrise anche nel lasciare la stuoia per allontanarsi, qualche istante più tardi, dopo i convenevoli di saluto.
Lentamente si incamminò verso la Fontana-del-Fico, ma non da sola: lo sguardo della rivale, determinato e insaccato fra due strati adiposi, la seguiva ostinato come la sua ombra e  velato di controllato risentimento. Lo sentiva, quello sguardo, pesarle  sulle spalle come una veste scomoda; intuiva i pensieri e i risentimenti celati dietro la fronte: Selima era per lei come un libro aperto. Dai suoi discorsi e dalle “chiacchiere” delle donne, non aveva faticato a capire che la Favorita del “suo” Rashid era una di quelle persone che una volta ottenuto quel che volevano, l’avrebbero difeso con le unghia e i denti. Quello che Selima voleva era assai chiaro: semplicemte ed irrinunciabilmente conservare il privilegio di Favorita del capo, faticosamente e sottilmente conquistato.
Il sorriso sfingeo, i modi consapevoli e sicuri di sé, autoritari… no! Jasmine non aveva dubbi: dovevano custodire  talenti nascosti; il profumo intenso e carnale, la bocca carnosa e ingorda e quei suoi immensi occhi scuri che parevano nascondere e custodire voluttuosi, intimi segreti… la persona piccola e sfacciatamente opulenta, fluttuante entro l’ampia veste drappeggiata e dai ricami dorati… la veste sotto cui magistralmente doveva esercitare… ne era sicura… voluttuose, segrete raffinatezze…
 Ma forse, provò a convincersi, raggiunta l’ombra che il grande fico accanto alla monumentale Fontana proiettava al suolo…  forse Selima appariva ai suoi occhi così temibile solo perché Rashid l’aveva amata e forse l’amava ancora…  Rashid amava Selima!… Il pensiero  irruppe dietro la mente come un fulmine e vi scavò una sottilissima linea orizzontale.
Le palpebre sbatterano più volte, con stupore quasi incredulo; lo sguardo addolorato, come accecato dal sole torrido. Come sbalordito.    

Non aveva mai pensato a Rashid innamorato di Selima… pronto a  fare  sesso con lei. Sapeva, certo, che nella sua vita dovevano esserci altre donne: Allah gli concedeva formalmente l’amore di quattro donne e Selima era certamente una di queste. Ma non ci aveva mai pensato prima,  il cuore e la mente occupati unicamente da quel serpentino spasimo di piacere che il solo pensare a lui le procurava.
Si rivide ansante e trepidante, pallida d’emozione, tra gli oleandri del giardino di Doha, ad attendere il suo ritorno... la promessa di tornare da lei… a sussultare con il cuore contratto di gioia ogni volta che sentiva pronunciare il suo nome che, pure, per breve tempo, aveva creduto quello di un nemico...  Rivide, mentre una scintilla di sorriso le aleggiava sulle labbra rosse come i petali di un fiore di melograno e le guizzava nel verde balenio degli occhi… rivide il piccolo  Amud!
Le riapparve improvvisa, nella luce accecante del giorno ormai fatto… le riapparve l’immagine del piccolo pastore nascosto entro l’enorme burnus color miele bruciato. Seduto alle spalle del vecchio capo di quella  tribù di beduini e un po’ isolato dagli altri.  Aveva scelto quel travestimento per sfuggire ad Hakam, l’uomo che  voleva farla sua sposa a costo di ucciderla e s’era trovata quasi nelle braccia di Rashid, ignaro d’averla al suo fianco, stesa sulla sua stuoia. Quanta emozione;  la gola chiusa, il respiro trattenuto, quasi provenisse dal più profondo di se stessa… dal suo grembo stretto dalle braccia contratte. Indescrivibile gioia,  la “sua”  coperta accogliente  sotto cui si era infilata, lasciandogli credere d’essere il piccolo, taciturno, scontroso Amud  e sentire il suo respiro accanto a sé, le spalle salde e possenti contro le sue. Gioia e paura… paura di tutto e di tutti, mentre  la luna saliva veloce sopra le dune.   Poi, l’episodio del medaglione e il piccolo Amud era tornato ad essere Jasmine e Rashid le aveva giurato amore eterno.
Ma nella vita di Rashid c’era anche Selima, perché nella vita di ogni uomo c’erano sempre altre donne. C’era Selima, la sua Favorita, capace di trattenere con la sua lussuriosa, sospirosa remissività, l’irrequieta  passionalità  del “suo” Rashid.
Lo consentiva la consuetudine. Lo consentiva Allah!Lei non poteva che accettare anche se il cuore  doleva.

(continua)
brano tratto da  "DUNE ROSSE - Fiamme sul deserto"

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LA FAVORITA



....
Lasciate, più tardi, le due ragazze con la speranza che facessero amicizia, Rashid s’incamminò verso la tenda del suo sceicco.
 Rashid conosceva Selima da più di un anno, ma era diventata la sua Favorita solo da qualche mese.
La ragazza  apparteneva alla tribù vassalla dei Kaza  ed era arrivata a Sahab a seguito di un attacco alla sua gente da parte di una tribù nemica.  Era prossima a compiere trenta anni ed era una ragazza dall’aspetto florido e piuttosto piacente: labbra carnose e sensuali, occhio vivace e nero, fisico prorompente.
Non era l’unica distrazione del capo, naturalmente, ma era la più richiesta tra le tante  concorrenti, fino a diventare un’abitudine e questo, giorno dopo giorno, ne aveva notevolmente accresciuto il prestigio e la posizione rispetto alle altre donne. 
I suoi sguardi di donna consapevole di sé e dell’ascendente su quel giovane uomo da tutti temuto, irruente e passionale, che poteva avere ogni donna ma che aveva scelto lei,  si caricavano di un piacere quasi torbido, quand’egli la cercava. Si era convinta che quel giovane tanto temerario nelle azioni quanto ardente nell’intimità, bello e scontroso, le fosse stato assegnato dalla sorte. Forse dallo stesso Allah!  
Da questo stato di intensa eccitazione, però, di ebrezza spasmodica, aveva avuto un brusco risveglio quando all’orizzonte era apparsa l’ombra della principessa Jasmine.  In realtà, all’inizio, gli sguardi di lui, smarriti e persi dietro inafferrabili pensieri, non l’avevano veramente scoraggiata, avendo, egli, continuato a chiedere la sua compagnia. Inconfessate sensazioni di smarrimento, però, sgradevoli e nuove, minacciavano ogni giorno di più quel suo  mondo di felicità, di folli spasmi e di lucida ebrezza. 
Selima, però,  non era più un’ingenua fanciulla: la mano del suo “signore” quando l’accarezzava era meno predace e meno eccitata  e inutile era ogni suo  segreto fascino per sollecitare i furiosi ed impetuosi desideri di un tempo.  Ma lei lo stesso continuava a vivere in quella specie di vaga eccitazione che la faceva sentire  immersa in un mondo di inaspettata fortuna. Come una bambina che riesce ad entrare in un mondo di favole e non vuol saperne di uscire.

Si era allarmata, perciò, quando aveva finalmente avvertito  la gravità della  minaccia: collera repressa e   un ossessionante bisogno di rivalsa nei confronti della rivale. Si era fatta arida e spinosa come una pianta di cactus riarsa dal sole, mentre un sofferto pallore le sbiancava ogni giorno di più le guance paffute, senza che neppure il velo di cipria colorata riuscisse  a ravvivare.
(continua)

brano tratto da   "DUNE ROSSE -  Fiamme sul deserto"

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sabato 10 gennaio 2015

LA DANZA delle AQUILE




...... 
Il giovane, conteso bel predone  gratificò di un sorriso colei che ormai da tempo non considerava più la sua Favorita e la staccò da sé, dopo una fuggevole carezza.
Jasmine li fissava da lontano.
La veste di Selima, mentre scivolava giù, sempre aggrappata alle spalle del giovane, si sollevò fin sopra le ginocchia,  quasi a metà coscia, mettendone in mostra la sfacciata opulenza; il giovane ebbe un sorriso, nel posarvi lo sguardo, ma non indugiò. La scostò da sé, poi attraversò lo steccato per raggiungere Jasmine, che aveva dato loro le spalle.
“Vieni, mio tesoro. – disse quando le fu vicino -  Sembra che Koal voglia invitarti ad una bella galoppata.   -  quasi le stesse parole di Selima - Anch'io, però, ho un invito per te."  continuò, passandole un braccio intorno alla vita e sostenendola,  affinché non incespicasse nel   suolo   di sabbia e ciottoli.
Si allontanarono, Rashid e Jasmine, seguiti dallo sguardo di Selima carico di rancore e  lui la guidò verso il cancello di tavole inchiodate, che con premura le tenne aperto nell' aiutarla ad oltrepassarlo.
Jasmine, però, si fermò;  tese la mano verso una di quelle tavole e vi si attaccò  saldamente. Anche Rashid si fermò; girò il capo, si chinò su di lei.
“Dove mi porti?”  domandò Jasmine, sollevando  su di lui uno sguardo un po' stupito, ma anche sgomento: Rashid non l'aveva sfiorata nemmeno con una carezza.
Il giovane ebbe un sorriso.
“Dove mi porti?” Jasmine ripeté la domanda, poi lasciò andare i lembi del velo, che le cadde sulle spalle, mostrando lo splendore perlaceo del volto.
"Non lontano. -  rispose semplicemente lui, indicando un crostone dei brevi   monti   calcarei che profilavano Sahab, a nord-ovest - Non lontano. "

Oltrepassata la staccionata,  la prese per  la   vita e la issò in sella a Daysi, poi montò dietro di lei e  lanciò il  cavallo  al galoppo in quella direzione.
La cavalcata durò poco; raggiunte le pendici dei monti, Rashid fermò il cavallo, smontò  ed aiutò Jasmine, che fece l'atto di prendere la parola.
"Dobbiamo solo aspettare." la prevenne lui, tuffando lo sguardo nella magia di quello di lei, verde e scintillante, in cui brillava la fiamma d'amore che lui aveva acceso.
Gli occhi di Rashid, profondi ed irrequeti, da uccello predatore, la fissavano con passione impetuosa  e desiderio furiosamente controllato; un silenzio carico di eccitazione trattenuta era calato su di loro, immobili e ammutoliti, come in attesa di qualcosa.
Proprio quando lei si scosse, sempre più sgomenta di quell'insolito  silenzio, ecco due aquile comparire nel cielo in un volteggiare potente e maestoso. Un maschio e una femmina.
"Aquile! Signore del cielo! - esclamò Rashid - Guarda, Jasmine, con quanta sublime grazia e maestà volano nel cielo."
Con occhi sgranati seguirono il maschio che si alzava più in alto per poi lanciarsi in picchiata verso la femmina, quasi per attaccarla; videro quella compiere un largo volo in rovesciata, ma con gli artigli rivolti verso l'alto.
"Precipiterà... - si sgomentò Jasmine - Si sfracellerà sulle rocce."
 "No, tesoro mio! - Rashid sorrise e l'attirò a sé - E'  la Danza delle aquile. E' il  rituale di accoppiamento." spiegò, chinandosi a deporle un bacio sui capelli.
Tornarono a guardare verso l'alto con il cuore in gola e lo stupore negli occhi.
Il maschio aveva raggiunto la femmina; i suoi artigli cercarono quelli della compagna e  si intrecciarono con essi.  Qualcosa di prodigioso accadde a questo punto: così legate, le due aquile si lasciarono precipitare giù. Lentamente. Dolcemente... Vorticosamente. Girando su se stesse.
"Precipiteranno..." tornò ad angosciarsi Jasmine.
Non precipitarono. A pochi metri dalla protuberanza rocciosa, le due aquile si staccarono l'una dall'altra, ebbero un'impennata e tornarono verso l'alto.
Ripeterono la straordinaria evoluzione quattro o cinque volte ancora, poi si allontanarono e scomparvero nel cielo.
"Quando il rito sarà completato e l'accoppiamento avvenuto, quelle due aquile non si separeranno fino alla morte." disse Rashid, mentre la sua mano grande, forte, protettiva e possessiva cercava quelle di lei, poi si chinò sulla bocca che trovò, per la prima volta, pronta a ricevere la sua e si saziò di baci;  si sciolsero, infine,  dall'abbraccio e voltarono  le spalle ai monti. Rashid  sollevò Jasmine in sella e montò dietro di lei.
"Sono commossa!" Jasmine posò la testa sulla  spalla di lui e si  abbandonò nelle sue braccia,  assecondando i movimenti del cavallo e offrendo il bel volto al vento che le colorì e tonificò le guance; lui le sfiorò la nuca con le labbra.
(continua)

brano tratto d  DUNE ROSSE - Fiamme sul deserto" 
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mercoledì 24 dicembre 2014

DUNE ROSSE - Fiamme sul deserto



E' arrivato il secondo volume della saga  DUNE  ROSSE

 titolo:

DUNE ROSSE - Fiamme sul deserto

continuano le straordinarie, appassionanti storie d'amore di
- RASHID e  JASMINE
- HARITH e LETIZIA
- SIR RICHARD e  ZAIRA
- MARCO e ATENA

continuano le sorprendenti vicende di personaggi che per cornice dei loro sentimenti hanno scelto il posto più straordinario, inospitale ed affascinante del nostro pianeta.

mercoledì 17 dicembre 2014

FUOCHI nella NOTTE


....
Seduti in circolo nel grande piazzale davanti alla tenda di Rashid,  tutta la tribù era presente per festeggiare il suo ritorno e quello di Jasmine: bianchi mantelli, abiti sgargianti, pugnali, fucili e strumenti musicali; alle loro spalle la luna illuminava la sabbia.
Sir Richard, gambe incrociate, pugnale infilato alla cintola, parlava con lo sceicco Harith, seduto alla sua destra. Parlavano dell'ultimo acquisto di armi, una mezza dozzina di fucili provenienti dall'Italia,  che solo da pochi decenni si era riunita. Armi giunte precisamente da quello che il professor Marco Starti, l’amico archeologo italiano partito per una spedizione in Egitto, chiamava Stato Pontificio, cui qualche trafficante era riuscito a portar via.
A Sahab arrivavano armi da ogni parte d'Europa, come ad ogni altra tribù del deserto, le quali  facevano affari con italiani, francesi, tedeschi e inglesi, naturalmente.
Di fucili non ve n’erano mai abbastanza, pensava il lord ed era vitale averne: era una forma di discussione, di far valere le proprie ragioni.
“Il fucile è la mia forza e la mia giustizia.” soleva ripetere Ibrahim, il vice del rais.

       


E non aveva torto, pensava il lord: le vessazioni e la corruzione del governo centrale, a Doha, avevano cancellato ogni fiducia nell’autorità e tutti si facevano ragione e giustizia da sé, facendo del fucile una necessità. Tale che averlo era più necessario che usarlo.
Harith mostrò il fucile che teneva in mano e il lord non riuscì a trattenere la mordace e pacata ironia di cui era dotato:
"Ecco una canna che è passata dal servizio di Cristo a quello di Allah!" disse, da buon miscredente qual era.
“Lo proveremo sulla scorta dei deportati di Salwah.” disse lo sceicco, mentre osservava attentamente lo stemma pontificio impresso sul calcio del fucile.
“Di che cosa parlate, sceicco?” domandò l’inglese.
“Di assaltare la scorta e liberare i prigionieri del Sultano, a Salwah. – all’espressione  dubbiosa del suo ospite, Harith spiegò – Ogni giorno vengono condotti fuori della prigione per soddisfare i propri bisogni e noi assalteremo la scorta e libereremo i prigionieri. – e prima che il lord replicasse, continuò – Tra i condannati della prigione di Salwah c’è Hamed, cugino di Ibrahim, della tribù dei Kaza. – lo informò – Con lui ci sono altri uomini di quella tribù, sorpresi durante una razzia.”
“Corrono pericolo di vita?’” domandò il lord.
“Oh, no! – Rashid, seduto alla sinistra del suo sceicco, intervenne nella conversazione; anch’egli maneggiava la sua nuova carabina a ripetizione come fosse una bella donna – No! Il sultano di Doha ha creato con la prigionia dei suoi sudditi una fonte di guadagno assai lucrosa. La condanna a morte, invece, anche per i delitti più gravi, sarebbe pur sempre una pratica onerosa e i Governatori delle province lo appoggiano, perché si ingrassano con lui.”
“Mantenere e nutrire tanta gente – osservò l’inglese . deve essere ugualmente oneroso.”
“Solo per la famiglia o per la tribù del condannato. – precisò Ibrahim, appoggiando sul tappeto davanti a sé la tazza di the con cui aveva accompagnato il cosciotto di agnello e pulendosi la bocca sul bordo della manica della casacca color fieno bruciato – Quell’insaziabile avvoltoio tiene in vita i prigionieri di tutto il Paese fino a quando la famiglia non paga la somma imposta.”
“Così può accadere che un ricco briccone torni subito in libertà, mentre un povero disgraziato, colpevole di mancanza lieve,  rischi di restare per sempre in prigione.” gli fece eco il suo sceicco.
“Sono tanti i condannati di queste prigioni?” domandò il lord.
“Capi ribelli… contadini…”
“Capi ribelli?” domandò sorpreso l’inglese; sapeva perfettamente che per quelle popolazioni l’idea di “governo” era qualcosa di indefinibile e una ribellione all’indefinibile era faccenda impossibile.
“Abd Errahm El.Heulj, governatore di Salwah – spiegò Ibrahim – è appena stato deposto per inadempienza all’ordine di riscossione di imposte religiose da versare al Sultano.”
“Capisco!” si limitò a rispondere il lord.
Sapeva bene, l’inglese, che se un superiore cadeva in disgrazia, e il governatore di Salwah era caduto in disgrazia presso il sultano di Doha, agli occhi della popolazione diventava un uomo completamente abbattuto. Il concetto di fede, per quella gente, pensava,  era che tutto stava nelle mani di Allah: il potente  era potente per volontà di Allah e per questo andava rispettato e ubbidito, ma se Allah non lo riteneva più degno della sua divina protezione, non aveva più senso ubbidirgli. E con questa logica, il lord sapeva bene anche questo, poteva accadere che  il più forte si rifacesse sul debole, ma anche che il debole  si unisse ad altri deboli e ne nascessero capi a condurre ribellioni. Egli era certo che fra quei prigionieri vi fossero ribelli e capi ribelli.
Fece l’atto di replicare, ma le note del tandir di Selima, la Favorita di Rashid, lo fermarono.

(continua)



brano tratto da   "DUNE ROSSE - Fiamme sul deserto"
di  MARIA   PACE

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mariapace2010@gmail.com

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