DUNE ROSSE

DUNE  ROSSE

DUNE ROSSE


Saga appassionante e coinvolgente composta da quattro volumi

DUNE ROSSE - Il Rais dei Kinda
DUNE ROSSE - Fiamme sul Deserto
DUNE ROSSE - Nella tana del cobra
DUNE ROSSE - L'Avvoltoio lasciò il nido (prossimamente)

giovedì 31 luglio 2014

IO - poesia araba





La notte chiede chi sono.
Sono la sua insonne intimità, profonda, oscura.
Sono la sua voce ribelle.

Vedo la mia realtà con il silenzio
e avvolgo il mio cuore nell'oblio.
E triste, fisso lo sguardo
mentre i secoli mi chiedono
chi sono.

(della poetessa irakena  Nazik  AL-KALA'IKA  costretta a riparare in Libano)

IL TEMPO (poesia araba di Sayed HEGAB)

IL TEMPO




C'é un tempo per l'amore
un tempo per la serietà
e un tempo per il gioco.

C'é un tempo per la menzogna
e c'é un tempo per l'amara verità.
Dissero la volpe, il politico e il mercante:
Hai ragione!

C'é un tempo per mentire
e un tempo per la verità mendace
e io nella sciocca saggezza sono costretto e soffocato.
Dissi:
"Credo ad un sol Dio!"

E singhiozzavo.
La morte non ha tempo.
La morte é di ogni tempo!

poesia araba di Sayed Hegab

lunedì 28 luglio 2014

... Un amore proibito...



.....................
Come richiamata dal suo sguardo, la ragazza si girò e guardò nella sua direzione.  Il lord fece un cenno di saluto col capo e le si avvicinò a lunghi passi; lei si sistemò il velo sui  lunghi capelli divisi sulla fronte e nel suo sguardo passò un lampo.
"L'orizzonte sembra irraggiungibile. - un lieve cenno del capo - Il mio nome è sir Richard Reginald Alcott. Per servirti, signora."
"Mi chiamo Zaira." rispose semplicemente lei.
"Sei Zaira? La figlia dell'Asceta." esclamò l’europeo.
"Sono Zaira."
La ragazza alzò su di lui lo sguardo e i loro occhi si incontrarono: azzurri, penetranti, audaci, quelli di lui, neri, sfavillanti e carichi di splendore, quelli di lei.
"Zaira. – ripeté il lord, assaporando quel nome quasi fosse una leccornia - Il tuo nome significa colomba. – sorrise, affascinato dallo splendore di quello sguardo, dalla sua dolce fissità e da quel qualcosa di vago smarrimento ch’era venuto a navigare al suo interno -  Il tuo cuore, però, non è pavido come quello della colomba. - aggiunse - Hai affrontato una fiera."
"Io amo gli animali." rispose con semplicità la ragazza, evitando di incontrare ancora lo sguardo del bell'avventuriero.
"Anche io! – sorrise ancora sir Richard - Di fronte ad una belva, però, io discuto col pugnale." riprese, spostando leggermente di lato la candida keffiew  per meglio guardarla in volto e mai volto gli parve altrettanto seducente.
La bocca  di lei, carnosa e piena, lo attirava irresistibilmente, la pelle dorata e come attraversata dal sole lo inebriava di sconosciuti profumi.
"Ci sono belve assai più pericolose delle pantere." l’udì replicare, mentre gli occhi le si caricavano di malinconiche velature. La ragazza portava ancora tracce della violenza subita: la ferita al braccio sinistro non era ancora del tutto rimarginata e il polso destro era ancora fasciato. Era certo che quelle parole nascondessero dolorosi segreti;  il paesaggio, intanto, cominciava a mutare, schegge di rocce si contendevano il suolo ma parlare cominciava a diventare meno difficoltoso.
“Parlami di te, signora. Ho saputo quello che ti è accaduto."
"Davvero ti interessa la mia storia? – disse la ragazza; anche lei, in verità, sembrava  soggiogata dal fascino che emanava dall’aitante, irrequieta giovinezza di lui  - Tu sei un uomo potente, sir Richard,  Duca di Scozia. Come può interessarti la mia storia?” domandò, senza alzare lo sguardo, mentre lui continuava a fissarla con quella insistenza che costringeva le donne di quella terra a coprirsi il volto e gli uomini a sostenere che lo sguardo dello straniero era il primo nemico della casa.
"Lascia che sia io a giudicare, dolce, magica creatura!" sorrise ancora  l'inglese.
L’espressione ostinata, le sopracciglia congiunte sul naso aquilino, l’ovale appuntito del volto bruciato dal sole, la sua figura aristocratica, nel Ksa, il bianco mantello marocchino, sovrastava quella agile e snella della ragazza.
Un lungo silenzio riempì la pausa, poi Zaira riprese.
"La mia storia è lunga." disse, infine, cercando di sottrarre il suo sguardo alla dolce disinvoltura di quello del giovane: lei non era abituata a quei dolci turbamenti. Lei era una kumari,  scelta da una Dea assai gelosa ed esclusiva.
"Si  dice che tu conosca il linguaggio delle fiere." il giovane la guardava come si guarda un prodigio.
"Oh, no! Non conosco che il linguaggio umano che… - Zaira ebbe un sorriso, poi proseguì - che non sempre è comprensibile agli altri uomini, ma... ma conoscevo quel leopardo ... era Raipur, la mia compagna di giochi e l'hanno  uccisa senza alcuna pietà!" esclamò in tono rattristato.
"Se non l'avessero fatto, quella fiera avrebbe certamente sbranato qualcuno." replicò lui.
"No! – lei scosse il capo con veemenza;  in lontananza la catena rocciosa profilava l’orizzonte e i ciottoli per terra, diventavano sempre più grossi e numerosi - Lei cercava solo cibo per il suo piccolo." spiegò, levando sul giovane lo sguardo limpido.
"Ma è vero che le parlavi?" chiese lui sempre più affascinato.
"Gli animali non parlano. - sorrise lei, mettendo in mostra due file di candide perle - Si intendono fra loro. Questo sì! Ma Raipur non era un pericolo per nessuno." aggiunse.
"Per te, forse, dolce colomba.- osservò sir Richard - Ma era pericolosa per gli altri…. Un leopardo è un leopardo! Anch’io amo il mio cavallo e pure lui mi è affezionato e benché altri non lo amino, non fa del male a nessuno. Come non ne fa il cammello di Alì  - sir Richard indicò l’animale su cui Zaira aveva viaggiato e che stava pascolando poco lontano con gli altri animali - Al contrario della tuo leopardo.."
"Animali e uomini sono pericolosi solo alla catena!" sentenziò Zaira, stringendosi forte il cucciolo al petto; un intenso bagliore emerse dai suoi occhi; sorrideva mentre parlava, ma il sorriso era privo di gioia e toccò il cuore del lord che la rassicurò:
"Non temere. Non temere, Zaira, per la tua libertà… né per quella del tuo cucciolo!”"
Ma, né le parole, né il tono e neppure il sorriso del giovane, riuscirono a dissipare i timori e l'inquietudine sul volto della ragazza, che al giovane sembrava sempre più smarrito e confuso e che lo spinse a chiedere:
"Qualcosa ti turba, Zaira? Forse i racconti cruenti su quella setta di pazzi sanguinari."
Un ululato riverberò da lontano; uno sciacallo o altra creatura di quel posto inospitale. Zaira rabbrividì.
“E' solo uno sciacallo. - sorrise il lord - E si terrà lontano da qui... lui ha più paura di noi... - cercò di rassicurarla, poi, sempre con lo stesso sorriso - Oh! certo! - proruppe - Come può uno sciacallo intimorire una ragazza che parla alle fiere? Scusa, dolce Zaira."
Fu la ragazza, questa volta, a rispondere con un sorriso prima che con le parole.
"E' questo posto! - disse - E' questo posto che mi turba. Io... io conosco questa oasi, ma non so perché.... né se  ci sono mai stata prima d'oggi."
"Forse ci sei già stata. - replicò il lord - Forse ti ci ha portato tuo padre, il saggio Mayrana che... mi dicono, fosse un uomo di grandi virtù e della cui morte tutti si dolgono."
"Lui non era mio padre, signore, ma mi ha allevata con l'amore di un padre da quando condusse me e mia madre nella sua casa. - una pausa, per raccogliere un accenno di singhiozzo, poi riprese - Ancora oggi, dopo tanti anni... avevo solo cinque anni allora... le mie notti sono popolate da fantasmi  e sogni orribili"
Come ubbidendo ad un impulso, a questo punto la ragazza tese le mani, morbide ed affusolate, verso quelle di lui, grandi e forti e le strinse, come a chiedere protezione; sir Richard le accolse entrambe tra le sue, poi le accostò alle labbra quasi con devozione.
"Non so perché ti dica queste cose, signore." disse lei con accento quasi di scusa e il lord la incoraggiò.
"Ti ascolto con affettuosa sollecitudine, dolce Zaira. - proruppe - Confidami le tue pene ed  io farò l'impossibile per alleviarle."
Zaira fece un lungo respiro poi con il capo accennò in direzione dei ruderi che tanto affascinavano il professor Marco.
"Proprio quello! - sussurrò – E’ il posto da cui sono fuggita da bambina con mia madre… Credevo che esistesse solo nella mia mente e invece eccolo qui ed io… ne sono molto turbata."
In verità, anche sir Richard era turbato, ma dal luccichio che era dentro gli occhi di lei e che pareva quasi di pianto. Era turbato da un'emozione sconosciuta che chiamava ai suoi sensi un vellutato piacere mai provato prima per una donna. Era turbato dal  quel misterioso fulgore dell'animo che lo faceva sentire ebbro senza aver bevuto. E poi... il lieve contatto delle loro mani... Senza una parola, si chinò sul volto proteso  di lei e le sfiorò le labbra con un bacio.
Lei si ritrasse. "No! No!" bisbigliò, mentre negli occhi il timore e il turbamento precipitavano nel terrore.
"Ma perché?... Perché?" chiese lui mentre lei gli voltava le spalle per allontanarsi quasi di corsa.
"Perché?" continuò a chiedersi, anche quando della flessuosa figura di lei non era rimasta   che l'ombra svolazzante della veste che svoltava l'angolo di una roccia .
"Lei è una Kumari. - la voce di Akim alle spalle lo costrinse a voltarsi - E' una vergine votata alla dea Kalì e nessun uomo può sfiorarla neppure con lo sguardo... fino a quando lo spirito della Dea dimorerà dentro di lei!"
(continua)

brano tratto da      "DUNE ROSSE - Il Rais dei Kinda"  di Maria Pace
reperibile su  AMAZON

formato e-book  oppure cartaceo

sabato 26 luglio 2014

L' harem nella cultura islamica

L'harem nel mondo arabo

Universo Donna  -  L’Harem

Fu  l'istituto della poligamia a favorire l'uso dell'harem, nel mondo arabo.
L'harem, il cui significato letterale è: "luogo sacro e proibito", era la parte della casa destinata alle donne.
L'usanza di relegare le donne in un appartamento della casa è antichissima ed in alcuni Paesi viene ancora oggi praticata. Un’usanza che trasformava la donna in un oggetto e la defraudava della dignità e della individualità di persona.
Se il Cristianesimo riconobbe la sessualità nel matrimonio soprattutto come mezzo di procreazione, senza troppi coinvolgimenti erotici, l'Islamismo, invece, concedette all'uomo il diritto al piacere ed alla soddisfazione fisica e la donna diventò, inevitabilmente "oggetto del desiderio".
Prigioniere senza sbarre, le donne dell'harem, di natura pigre ed indolenti, conducevano un'esistenza inoperosa; al contrario della donna beduina, ad esempio, sulle cui spalle gravava il peso della famiglia ed al contrario anche della popolana cittadina, attiva e lavoratrice.
Analfabeta, ignorante, fuori del tempo e del mondo, la donna dell'harem viveva esclusivamente per il piacere dell'uomo, perciò, ogni azione, ogni pensiero, ogni cura, erano rivolte a tale, unico scopo. Usciva poco di casa ed aveva molto tempo da dedicare alla cura  di sé: la bellezza era essenziale per conquistare, soddisfare e mantenersi lo sposo e signore. Perciò, la donna dell'harem dedicava molto tempo alla cura del corpo, della pelle e dei capelli. Sia per compiacere il marito che per competere con le altre mogli.
Le sue armi erano lunghe abluzioni, rilassanti massaggi, depilazioni totali,  profumi afrodisiaci, trucco accurato ed elaborato di volto e occhi, abiti sfarzosi e gioielli vistosi.
L'uomo, dal canto suo, rispondeva a questa totale dedizione, appagando ogni suo capriccio, naturalmente secondo i propri mezzi; spesso, infatti, queste donne disponevano di appartamenti propri e di proprie schiave.

Arrivavano numerose, negli harem, vendute dalle famiglie o frutto di quella dolorosa piaga che l'Europa conosceva come la: "Tratta delle bianche".
Tra questo elevato numero di donne, il Sultano sceglieva le sue Kadin, le concubine. Generalmente quattro.
Rispetto alle altre donne, queste godevano di particolare considerazione, ma dovevano obbedienza alla padrona, cioè alla moglie: la Valde Sultan, ossia la Sultana-Madre, donna libera, cui tutti, lo stesso marito, dovevano rispetto.

Il problema più assillante di un harem era quello di vincere la noia di interminabili giornate oziose. Non potendo uscire di casa, se non in rare occasioni, quando ciò accadeva, queste donne finivano sempre per vagabondare nei bazar, mettendo a dura prova la pazienza dei venditori.  Entrare ed uscire dai negozi, tra estenuanti contrattazioni e senza comprare niente, era il loro divertimento preferito.
Un altro passatempo era quello di recarsi ai bagni pubblici.
In quelle scorribande, però, non erano mai sole;  c'era sempre qualcuno a sorvegliarle: una donna anziana oppure un eunuco, un uomo, cioè, privato della propria virilità a tale, unico scopo. L'uso di affidare le donne ad un eunuco era passata al mondo musulmano dalla civiltà bizantina.

Quando mancavano le occasioni per uscire di casa,  queste impareggiabili, oziose creature, organizzavano feste e visite di cortesia all'interno del palazzo: nell'arte di intrattenersi a vicenda, quelle oziose e lussuriose donne, erano vere maestre.
Su splendidi terrazzi affacciati sul mare, potevano passeggiare, danzare, bere the, mangiare focaccine di farina di datteri e sfoggiare gioielli: orecchini, collane e bracciali di preziosissima e finissima filigrana, nella cui arte gli orafi arabi sono sempre stati grandi maestri. I divertimenti erano quasi sempre sciocchi ed infantili; andavano dalla “moscacieca” al “nascondino”,  dal “gioco dei perché” a “gioco della verità”.
La loro preferenza, però, andava agli scherzi ai danni di ancelle, ma soprattutto di eunuchi. Donne ed eunuchi si odiavano profondamente: le prime, con sentimento di rivalsa contro l'uomo, i secondi per tutte le vessazioni che erano costretti a subire.
In alcuni Paesi oggi la poligamia è stata, teoricamente, abolita. Là dove continua ad essere praticata, poco è cambiato. Un uomo può avere quattro mogli, ognuna delle quali competerà con le altre per mantenere desto l'interesse dello sposo e compiacerlo. Lo farà esclusivamente all'interno delle mura di casa:  gioielli, profumi, vestiti sfarzosi e colorati sono riservati all'intimità della casa.
L'harem di ieri, come la casa di oggi,  rappresentano il luogo sicuro per una donna; a difenderla, quando è fuori, invece,  da insidie e violenze,  c'è un altro mezzo di segregazione:  il velo che, nei casi estremi (ma purtroppo frequenti) diventa il famigerato burka.
L'idea, però, che l'emancipata donna occidentale sia uguale all'uomo, mentre la sottomessa donna orientale non lo sia per niente,  non corrisponde alla realtà.
Molte donne musulmane, pur col capo velato, occupano posti di prestigio nell'industria, nella politica, nella cultura, nella moda e molte donne occidentali, invece, si spogliano al solo scopo di compiacere il maschio... ma questo è un altro argomento.

Origine del velo nella cultura islamica

Origine del velo nella cultura islamica
L'uso del velo è antichissimo, comune a tutte le culture; lo portavano perfino le romane d'epoca imperiale, appoggiato alle dorate ed elaborate parrucche ed era interdetto, presso gli antichi babilonesi, alle cortigiane.
Era presente, perciò anche anche nella società araba-preislamica, profondamente maschilista, dove era addirittura una necessità, poiché sollevare lo sguardo su un uomo era considerato un attentato alla sua "superiorità di maschio".
Divenne un precetto islamico solo in seguito, quando Maometto provò a migliorare le condizioni della donna. Contro i suoi progetti si scagliarono i suoi avversari e lo fecero  colpendo proprio le donne della sua famiglia.
Le mogli e le figlie del Profeta erano costantemente minacciate per strada e subirono  anche tentativi di stupro per cui furono costrette a restarsene in casa.
L'alternativa era il velo, che divenne da quel momento la prima forma di segregazione per le donne... non ancora islamiche, bisogna specificarlo... cui, per un brevissim istante, era stato concesso di respirare aria di libertà.
Pardosso... pe quanto possa sembrarlo, le uniche donne islamiche libere di mostrare i loro bellissimi volti, sono state le donne beduine.,

La Donna nella Cultura Araba


La donna nella cultura araba

La donna nella cultura araba
Il primo a porre la questione femminile e l'emancipazione della donna nella società fu l'intellettuale egiziano Oasim Amin.
"La Legge islamica ha preceduto tutte le altre Legislazioni, proclamando l'uguaglianza della donna e dell'uomo." scrisse
Ed aveva ragione. Sebbene solo teoricamente, poiché la condizione femminile nel mondo non è mutata poi così tanto da quando Oasim Amin fece quest'affermazione.
Immutata è rimasta anche la condizione della donna musulmana;  ieri come oggi,  che pure occupa posti di rilievo nella società.  Ieri come oggi,  infatti,  è assoggettata all'autorità di padre o marito e ieri come oggi, ritenuta fonte di tentazione per il maschio, è costretta a velarsi e nascondersi.  E, sempre ancora oggi, la troviamo sottoposta a pratiche aberranti come l'infibulazione...  e non giustifica il fatto che tale pratica sia antica e pre-islamica... semmai ne aumenta la colpa, poiché tollerare è lo stesso che praticare.
In verità, la condizione della donna nella società araba pre-islamica, considerata una disgrazia per la famiglia fin dalla nascita,  era assai dura.  Oppressa, disprezzata e privata di ogni più elementare diritto,  era considerata alla stregua di un oggetto o di una proprietà  che si poteva perfino ereditare: dal figlio maggiore della prima moglie, alla morte del padre.
L'Islam le riconobbe diritti che non aveva mai goduto prima, ma le impose  anche doveri.
Diritti e doveri. Il Corano obbliga e tutela.
Il Corano, però, si presta a varie interpretazioni.
Esiste la Sharia, la Legge Islamica, ma esiste anche la Ijtihad, la nuova interpretazione della Legge Coranica e non sempre la seconda è in accordo con quella tradizionale.
"Le donne sono uguali all'uomo di fronte a Dio." recita il Corano,
ma subito precisa:
"Le donne hanno diritti equivalenti ai doveri, ma gli uomini sono superiori.  Allah è potente e giusto!" (Sura 2 - verso 228)
o  addirittura proclama:
"Gli uomini sono preposti alle donne a causa della preferenza che Allah concede agli uni rispetto alle altre e perché spendono i loro beni... Le virtuose sono le devote che proteggono nel  segreto quello che Allah ha preservato. Ammonite quelle  di cui temete l'insubordinazione. Lasciatele sole nei loro letti. Battetele. Se poi vi obbediscono, non fate più nulla contro di loro. Allah Altissimo è grande."  ( Sura IV  - versetto 34)
Il  Corano, dunque, riconosce molti diritti (ma non tutti) alla donna e primo fra tutti, le riconosce  il diritto alla nascita: un diritto per nulla scontato, se si considera il dilagare in tutto il mondo della  piaga del Gendercidio o selezione genetica.
Bisogna anche riconoscere che se in alcuni Paesi arabi le donne non godono dei diritti loro accordati dal Corano, la causa va ricercata nella interpretazione che ne danno uomini appartenenti ad una società  per vocazione profondamente maschilista.
Sono nati così, imposizioni e divieti.
Come quello del velo, diventato nel tempo sempre più ampio, sempre più largo, sempre più avvolgente fino ad inghiottire la figura femminile. Nessun versetto del Corano, in verità, ne prescrive l'uso, ereditato dalla cultura pre-islamica. E nessun versetto coranico  ingiunge alla donna  di abbassare lo sguardo perché offenderebbe la "superiorità del maschio".
Né è il Corano a imporre  l'istituto della poligamia, secondo cui l'uomo può avere fino a quattro mogli  o quello del facile ripudio, che permette all'uomo di liberarsi  della moglie anche senza giusta causa. Si tratta di antiche consuetudini cui un certo tipo di uomo è rimasto tenacemente attaccato.
Grazie al movimento per l'emancipazione femminile  "Periodo del Risveglio",  che già nel 1923 portò la Turchia all'abolizione della Sharia  ed alla laicizzazione dello Stato, alcune cose oggi sono cambiate...  cambiamenti che hanno contribuito alla nascita di progetti sociali e culturali su cui ancora oggi si scontrano Progressisti  e Fondamentalisti.
Oggi, la poligamia, pur riconosciuta, è praticata solo in bassissima percentuale e la maggior parte dei matrimoni sono monogami.  In materia di diritto familiare, alla donna divorziata è finalmente riconosciuto il diritto di tenere il figlio con sé fino a nuove nozze o  di non contrarre matrimonio contro la propria volontà; in alcuni Paesi poligamia e ripudio sono stati aboliti.
Alla donna araba oggi, è riconosciuto il diritto all'istruzione ed al lavoro come in ogni altra società.
Quando si parla di donna araba non si parla di una sola realtà, ma di un mondo variegato con realtà diverse, che non devono indulgere l'osservatore esterno a facili pregiudizi.   Come  nella società occidentale un'italiana è diversa da una svedese,  nella società araba una saudita lo è da una tunisina.
E' paradossale che a diffondere lo stereotipo della donna araba sottomessa e completmente assoggettata all'uomo siano solo fatti di cronaca e si tralascino invece le conquiste, numerose, delle donne arabe nell'ambito della società.
Uscita dal limbo di ignoranza in cui è vissuta per secoli, la donna araba oggi conosce, al  pari  della donna occidentale, molte nuove realtà. Come la donna occidentale e soprattutto negli ultimi decenni,  ha conseguito successi e conquistato diritti.
Uno di queste conquiste è  il diritto a coprirsi il capo, se desidera farlo e se non vi é costretta da qualcuno o da qualche precetto.

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