DUNE ROSSE

DUNE  ROSSE

DUNE ROSSE


Saga appassionante e coinvolgente composta da quattro volumi

DUNE ROSSE - Il Rais dei Kinda
DUNE ROSSE - Fiamme sul Deserto
DUNE ROSSE - Nella tana del cobra
DUNE ROSSE - L'Avvoltoio lasciò il nido (prossimamente)

mercoledì 17 dicembre 2014

FUOCHI nella NOTTE


....
Seduti in circolo nel grande piazzale davanti alla tenda di Rashid,  tutta la tribù era presente per festeggiare il suo ritorno e quello di Jasmine: bianchi mantelli, abiti sgargianti, pugnali, fucili e strumenti musicali; alle loro spalle la luna illuminava la sabbia.
Sir Richard, gambe incrociate, pugnale infilato alla cintola, parlava con lo sceicco Harith, seduto alla sua destra. Parlavano dell'ultimo acquisto di armi, una mezza dozzina di fucili provenienti dall'Italia,  che solo da pochi decenni si era riunita. Armi giunte precisamente da quello che il professor Marco Starti, l’amico archeologo italiano partito per una spedizione in Egitto, chiamava Stato Pontificio, cui qualche trafficante era riuscito a portar via.
A Sahab arrivavano armi da ogni parte d'Europa, come ad ogni altra tribù del deserto, le quali  facevano affari con italiani, francesi, tedeschi e inglesi, naturalmente.
Di fucili non ve n’erano mai abbastanza, pensava il lord ed era vitale averne: era una forma di discussione, di far valere le proprie ragioni.
“Il fucile è la mia forza e la mia giustizia.” soleva ripetere Ibrahim, il vice del rais.

       


E non aveva torto, pensava il lord: le vessazioni e la corruzione del governo centrale, a Doha, avevano cancellato ogni fiducia nell’autorità e tutti si facevano ragione e giustizia da sé, facendo del fucile una necessità. Tale che averlo era più necessario che usarlo.
Harith mostrò il fucile che teneva in mano e il lord non riuscì a trattenere la mordace e pacata ironia di cui era dotato:
"Ecco una canna che è passata dal servizio di Cristo a quello di Allah!" disse, da buon miscredente qual era.
“Lo proveremo sulla scorta dei deportati di Salwah.” disse lo sceicco, mentre osservava attentamente lo stemma pontificio impresso sul calcio del fucile.
“Di che cosa parlate, sceicco?” domandò l’inglese.
“Di assaltare la scorta e liberare i prigionieri del Sultano, a Salwah. – all’espressione  dubbiosa del suo ospite, Harith spiegò – Ogni giorno vengono condotti fuori della prigione per soddisfare i propri bisogni e noi assalteremo la scorta e libereremo i prigionieri. – e prima che il lord replicasse, continuò – Tra i condannati della prigione di Salwah c’è Hamed, cugino di Ibrahim, della tribù dei Kaza. – lo informò – Con lui ci sono altri uomini di quella tribù, sorpresi durante una razzia.”
“Corrono pericolo di vita?’” domandò il lord.
“Oh, no! – Rashid, seduto alla sinistra del suo sceicco, intervenne nella conversazione; anch’egli maneggiava la sua nuova carabina a ripetizione come fosse una bella donna – No! Il sultano di Doha ha creato con la prigionia dei suoi sudditi una fonte di guadagno assai lucrosa. La condanna a morte, invece, anche per i delitti più gravi, sarebbe pur sempre una pratica onerosa e i Governatori delle province lo appoggiano, perché si ingrassano con lui.”
“Mantenere e nutrire tanta gente – osservò l’inglese . deve essere ugualmente oneroso.”
“Solo per la famiglia o per la tribù del condannato. – precisò Ibrahim, appoggiando sul tappeto davanti a sé la tazza di the con cui aveva accompagnato il cosciotto di agnello e pulendosi la bocca sul bordo della manica della casacca color fieno bruciato – Quell’insaziabile avvoltoio tiene in vita i prigionieri di tutto il Paese fino a quando la famiglia non paga la somma imposta.”
“Così può accadere che un ricco briccone torni subito in libertà, mentre un povero disgraziato, colpevole di mancanza lieve,  rischi di restare per sempre in prigione.” gli fece eco il suo sceicco.
“Sono tanti i condannati di queste prigioni?” domandò il lord.
“Capi ribelli… contadini…”
“Capi ribelli?” domandò sorpreso l’inglese; sapeva perfettamente che per quelle popolazioni l’idea di “governo” era qualcosa di indefinibile e una ribellione all’indefinibile era faccenda impossibile.
“Abd Errahm El.Heulj, governatore di Salwah – spiegò Ibrahim – è appena stato deposto per inadempienza all’ordine di riscossione di imposte religiose da versare al Sultano.”
“Capisco!” si limitò a rispondere il lord.
Sapeva bene, l’inglese, che se un superiore cadeva in disgrazia, e il governatore di Salwah era caduto in disgrazia presso il sultano di Doha, agli occhi della popolazione diventava un uomo completamente abbattuto. Il concetto di fede, per quella gente, pensava,  era che tutto stava nelle mani di Allah: il potente  era potente per volontà di Allah e per questo andava rispettato e ubbidito, ma se Allah non lo riteneva più degno della sua divina protezione, non aveva più senso ubbidirgli. E con questa logica, il lord sapeva bene anche questo, poteva accadere che  il più forte si rifacesse sul debole, ma anche che il debole  si unisse ad altri deboli e ne nascessero capi a condurre ribellioni. Egli era certo che fra quei prigionieri vi fossero ribelli e capi ribelli.
Fece l’atto di replicare, ma le note del tandir di Selima, la Favorita di Rashid, lo fermarono.

(continua)



brano tratto da   "DUNE ROSSE - Fiamme sul deserto"
di  MARIA   PACE

su  AMAZON    o direttamente presso l'autrice  SCONTATO  ED  AUTOGRAFATO
mariapace2010@gmail.com

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